di Riccardo Cursi*
A oltre un anno dall’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, vale la pena analizzare i cambiamenti che questi ha apportato alla politica estera degli Stati Uniti, rispetto al suo predecessore.
Per molti commentatori conservatori, le scelte di Obama starebbero indebolendo gli Stati Uniti. I critici progressisti sono invece delusi: a loro modo di vedere Obama non avrebbe fatto abbastanza “change”. Per comprendere quale interpretazione sia più corretta, conviene esaminare le principali questioni al centro della politica estera statunitense e considerare come le abbiano trattate i due diversi presidenti.
Cina
Negli ultimi anni, la Cina ha accresciuto la sua influenza geopolitica in Asia, Africa e Sud America. Proprio per questa ragione, il rapporto con la Cina è tra le questioni in cima all’agenda della politica estera americana. All’inizio l’amministrazione Bush ha individuato nella Cina il competitor del nuovo millennio. I rapporti tra i due paesi hanno conosciuto, poi, momenti di tensione che, però, non hanno minato in maniera sostanziale la cooperazione e l’interdipendenza. La potenza asiatica fornisce beni a basso costo che calmierano l’inflazione statunitense e finanzia il deficit delle partite correnti di Washington. Il legame è, ormai, molto intenso: semplificando, si può dire che la Cina produce e gli Stati Uniti consumano o che la Cina risparmia e gli Stati Uniti spendono. Obama si è posto, al riguardo, in una linea di continuità. Nei primi mesi del suo mandato non ci sono state significative variazioni nell’approccio degli Stati Uniti. Solo di recente la sua amministrazione ha premuto per un riequilibrio nei rapporti sino-statunitensi, aprendo una serie di fronti: da un incontro privato con il Dalai Lama alla libertà di internet, alla vendita di armi a Taiwan. Più che essere destinate a compromettere la cooperazione strategica, queste tensioni sembrano però, piuttosto, riprodurre quelle già osservate negli otto anni precedenti.
Europa
Nei confronti dell’Europa Bush ha avuto, a lungo, un atteggiamento sprezzante. Al peggioramento delle relazioni transatlantiche ha contribuito la sua volontà di svincolare gli Stati Uniti dai lacci e laccioli delle alleanze permanenti e delle istituzioni internazionali. Il momento di maggior rottura si è verificato con l’inizio della Guerra in Iraq, quando l’Unione Europea si è divisa sul sostegno all’intervento militare. Sul rapporto tra le due sponde dell’Atlantico ha pesato poi una progressiva divergenza di interessi: gli statunitensi preferiscono avere come partner un’Europa divisa e incapace di portare a compimento quel lento processo d’integrazione comunitaria che la renderebbe un potenziale competitor globale. Con l’elezione di Obama, i leader europei hanno sperato in un rifiorire dei rapporti transatlantici. Il nuovo Presidente, però, ha in buona parte deluso queste aspettative. Agli europei ha chiesto, in cambio di un approccio multilaterale, una maggiore assunzione di responsabilità che nel vecchio continente pochi sembrano disposti a concedere. Gli stati europei, infatti, non percepiscono le minacce collegate al teatro mediorientale come fondamentali per la loro sicurezza e continuano a tenere un atteggiamento da free rider, confidando nella possibilità di scaricare sugli Stati Uniti il peso della difesa collettiva. Obama, come Bush, ha anche continuato a sostenere l’entrata della Turchia in Europa, ritenendola un possibile fattore destabilizzante dell’integrazione comunitaria.
Russia
Le relazioni con la Russia rappresentano probabilmente il punto sul quale si è registrata maggiore divergenza tra i due presidenti. Negli anni di Bush i rapporti con Mosca, avviatisi sui binari della cooperazione, hanno in breve ripreso la tendenza generale che aveva seguito il crollo dell’Unione Sovietica: gli Stati Uniti hanno intrapreso una politica aggressiva, estendendo la propria influenza all’area d’interesse strategico di Mosca. L’idea di Obama di riaprire il dialogo con la Russia si fonda sulla consapevolezza dell’indebolimento relativo del suo paese. Gli Stati Uniti hanno bisogno del supporto russo, dalla lotta al terrorismo a quella alla proliferazione nucleare. Tra i passi compiuti in questa direzione, il più importante è stato certamente lo smantellamento di fatto del progetto del sistema di difesa BMD, che non verrà installato in Polonia e Repubblica Ceca. La nuova amministrazione sembra meno disposta a focalizzarsi sul sostegno agli stati dell’Europa dell’Est e del Caucaso, anteponendo a essi la cooperazione con Mosca.
Grande Medio Oriente
Anche verso il Medio Oriente, sembra esserci stato un cambiamento tra le due amministrazioni. La Freedom Agenda, infatti, ha lasciato il posto a una politica più pragmatica. I punti di vista delle due amministrazioni sul conflitto iracheno sono stati molto diversi. Per il Presidente repubblicano, regime change e promozione della democrazia dovevano essere i cardini di una strategia volta a instaurare un nuovo ordine mediorientale, che avrebbe garantito anche maggiore sicurezza. Obama, invece, si è sempre detto di parere contrario. E’ però interessante notare come, nonostante le pressioni dei suoi sostenitori più progressisti, egli non abbia accelerato il calendario del ritiro delle truppe concordato da Bush. Sulle promesse della campagna elettorale si è imposta la necessità di non compromettere la stabilità del paese e della regione, né i successi ottenuti negli ultimi anni. Nella War on terror l’attenzione è stata poi spostata su Afghanistan e Pakistan – teatro quasi dimenticato da Bush. Di conseguenza, Obama ha anche modificato i suoi obiettivi: non più la democratizzazione del mondo islamico ma semplicemente sconfitta di al-Qaeda e stabilità per l’Afghanistan. Questa svolta pragmatica è stata particolarmente marcata verso i talebani, con cui Obama si è detto pronto a dialogare, e quindi con l’Iran in merito al suo programma nucleare. Questo dialogo, in entrambi i casi, si presenta ovviamente pieno di rischi e di difficoltà e al momento non ha dato enormi risultati.
Politica Interna
L’ambito in cui Obama si sta differenziando maggiormente dal suo predecessore è quello della politica interna. Fin dall’inizio ha fatto ampio ricorso alla spesa pubblica, in misura assai maggiore rispetto all’amministrazione Bush, che pure l’aveva aumentata. Per ragioni di spazio non possiamo ricordare tutte le misure, ma tra le principali non si possono dimenticare il bailout dell’economia da 787 miliardi di dollari, lo stanziamento di nuove truppe in Afghanistan, la riforma sanitaria (anche se il suo peso è stato ridotto rispetto alle prime versioni) e l’intenzione di varare una legislazione di contrasto ai cambiamenti climatici. Tutte scelte importanti ma controverse, che rischiano di aumentare l’indebitamento pubblico e di peggiorare la situazione economico-finanziaria statunitense.
Continuità o cambiamento?
La domanda è dunque: continuità o cambiamento? La politica estera è il prodotto dell’interazione di variabili endogene ed esogene, domestiche e sistemiche, alcune dipendenti e altre indipendenti dagli uomini che la conducono. Comparare il comportamento di due amministrazioni non è semplice. Spesso cambiano gli uomini, le idee, le esigenze e i problemi da affrontare. Inoltre il fatto che Obama sia in carica soltanto da poco più di un anno rende parziali le considerazioni sulle azioni concrete della sua presidenza. Sulla base di quanto osservato finora, si possono fare, comunque, alcune considerazioni. Innanzitutto l’approccio di Obama differisce da quello di Bush, ma tale divergenza, a differenza di quanto pronosticato da ampi strati dell’opinione pubblica, non consiste in una visione più progressista. Bush ha favorito un approccio ideologico ed egemonico, orientato a garantire la sicurezza degli Stati Uniti attraverso un maggiore impegno all’estero. Obama, invece, ha preferito la ricerca della cooperazione per raggiungere quegli obiettivi che il suo Paese, da solo, non poteva raggiungere. Parimenti, Obama ha cercato il dialogo con gli avversari, dove (e dopo che) Bush ha cercato lo scontro. Questa differenza deriva sia dalla diversa concezione del potere americano: immenso e imbattibile per Bush, limitato e non sempre fungibile per Obama. Che dalla diversa fase storica, nella quale gli Stati Uniti stanno osservando sia il loro declino relativo che l’aumentare dell’incertezza geopolitica.
Non bisogna però dimenticarsi che nell’arena anarchica delle relazioni internazionali è difficile raggiungere gli obiettivi pianificati. Le idee e le visioni del mondo sono chiamate a misurarsi con la realtà. I diversi approcci di Bush e Obama, pertanto, una volta applicati alla scena internazionale, hanno – paradossalmente – prodotto politiche in alcuni casi simili e in altri differenti.
Infine, esiste un grado di continuità tra due amministrazioni. Infatti, la politica estera di Bush ha avuto un’evoluzione progressiva, manifestatasi con l’eliminazione di Wolfowitz nel secondo mandato e quindi con un approccio meno ideologico e unilaterale poi culminato con l’uscita di scena di Rumsfeld. La conferma di Gates da parte di Obama e la composizione della squadra di politica estera, per certi versi, sembrano andare lungo quel solco. Proprio da questo punto di vista, la condotta dell’ultimo Bush sembra essere il punto di partenza dal quale Obama ha preso le mosse, anche se non è detto che questa linea prevarrà per l’intera durata del suo mandato, stante la molteplicità di fattori interni ed esterni che possono intervenire a modificarla. In definitiva, tra Obama e Bush ci sono molte differenze, ma anche molte somiglianze. E’ importante ricordare ancora una volta che le divergenze maggiori tra le due amministrazioni derivano più dai cambiamenti avvenuti nei campi nei quali quelle stesse divergenze si sono manifestate che non dal cambiamento di presidenza in sé. Ciò suggerisce, a chi avesse ancora dei dubbi, che è ancora il sistema internazionale a guidare i Paesi, e non il contrario.
* Riccardo Cursi ha conseguito la laurea triennale in Scienze Politiche e la laurea Specialistica in Relazioni Internazionali presso la LUISS Guido Carli. A settembre 2010 inizierà il M.A. in International Relations presso la Paul H. Nitze School of Advanced International Studies della Johns Hopkins University.
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