La Grecia e le banche europee respirano, ma è solo rinviata la resa dei conti in Eurolandia

Di Mario Seminerio – Libertiamo

Ora che è stato raggiunto l’ennesimo accordo (ma il primo apparentemente operativo) tra Unione europea, Fondo Monetario Internazionale e Grecia, è opportuno tentare di analizzare le prospettive di Eurolandia e, soprattutto, della crisi di debito sovrano che sta mettendo a rischio il futuro dell’area valutaria unica, almeno così come si è formata finora.

La prima osservazione è che il sostegno alla Grecia rischia di essere solo il rinvio della resa dei conti. Le misure di austerità a carico di Atene sono molto pesanti, soprattutto per un paese da sempre caratterizzato da forti turbolenze sociali ed elevata evasione fiscale. Si parla di un aumento dell’Iva di tre punti percentuali, fino al 23 per cento ed aumento del 10 per cento delle accise; blocco del turnover e della contrattazione collettiva (inclusa la parte economica) nel settore pubblico per tre anni, aumento dell’età pensionabile fino a 67 anni, massicce privatizzazioni, soppressione di enti pubblici inutili, apertura delle professioni regolate da albi. Curioso come si tratti di misure che noi italiani conosciamo bene, almeno per il furioso quanto sterile dibattito ad esse associato da almeno un quindicennio.

L’erogazione dei finanziamenti di sostegno dovrebbe avvenire (se prevarrà l’impostazione del FMI, oltre che del buon senso) in modo graduale e condizionato al raggiungimento del piano di risanamento fiscale. Ma un paese come la Grecia, caratterizzato da una bassa base di esportazioni sul Pil (così come Spagna e Portogallo, del resto) rischia di essere condannato a trascorrere molti anni nel tunnel della depressione economica. Nel frattempo, dopo molte esitazioni ed una cacofonia governativa e di maggioranza di sapore italiano, il governo tedesco sembra aver capitolato all’esigenza di evitare un collasso del sistema bancario europeo. Restano, a dire il vero, alcune posizioni ed affermazioni piuttosto sconcertanti, come l’invito alle banche tedesche a prendersi carico del proprio “comportamento speculativo” accettando perdite sugli investimenti in Grecia. Se ciò accadesse, il sistema bancario tedesco andrebbe immediatamente ricapitalizzato, e in un numero non limitato di casi servirebbe proprio l’intervento del contribuente. Questo “suggerimento” tedesco apparirà di consolazione a quanti si lamentano circa l’analfabetismo economico medio della classe politica italiana.

La domanda che tutti si pongono è sempre la stessa: l’intervento di Ue e FMI funzionerà? Premesso che, come abbiamo più volte ricordato, questa vicenda presenta solo esiti negativi, da qualunque via d’uscita la si guardi, resta un problema di fondo: la Grecia è un paese tecnicamente insolvente. Ha un imponente deficit primario, che trasformare in avanzo risulterà impresa titanica, date le premesse. Ma soprattutto, in questi giorni stiamo ascoltando un enorme sospiro di sollievo europeo che proprio non ha ragione di esistere. Il salvataggio ha ridotto il rischio sistemico nel breve termine, al prezzo di un’impennata dell’azzardo morale di medio e lungo termine.

Proviamo a riflettere su questo: le agenzie di rating la scorsa settimana hanno declassato il merito di credito di Spagna e Portogallo sulla base della scarsa credibilità dei piani di risanamento fiscale. Quest’ultima, a sua volta, dipende da due elementi: la qualità delle misure adottate e le ipotesi di scenario macroeconomico. Nel caso del Portogallo, ad esempio, tra le prime figura un rientro fiscale basato su misure in prevalenza una tantum oltre che posticipate ai prossimi anni. Riguardo le ipotesi di crescita, le agenzie di rating stanno ridimensionando quelle dei governi e, se dovessero avere ragione, ci troveremmo con paesi che cadono in una trappola di debito. Che accadrà quando Portogallo e Spagna saranno nuovamente declassate, evento tutt’altro che remoto? I mercati venderanno a mani basse il loro debito, e si tornerà alla spirale greca. E allora che farà la Ue, un nuovo salvataggio? Qualcuno realisticamente pensa che il FMI abbia dotazioni di risorse illimitate e, soprattutto, concentrabili su Eurolandia?

La verità è che, con il puntello alla Grecia, stiamo salvando il sistema bancario europeo. Sottocapitalizzato, opaco, ricco di veicoli fuori bilancio, soprattutto in Germania. Ecco perché le variabili chiave da osservare, ora più che mai, sono la crescita ed il saldo primario di finanza pubblica. I mercati stanno facendo lo stesso. Alla luce di questi due “canarini nella miniera”, due parole sul nostro paese. Che ha, come evidenziato ad nauseam, una ormai strutturale tendenza a crescere poco. Quanto all’avanzo primario, nel 2009 lo abbiamo perso. Siamo a rischio di attacchi sui mercati? La risposta è al contempo affermativa e negativa. Siamo a rischio perché abbiamo le stigmate del paese a rischio. Non siamo a rischio (nel breve termine) perché abbiamo una rilevante ricchezza privata, mobiliare ed immobiliare. Da un lato, questa caratteristica eviterà di intervenire a sostegno del sistema bancario, come invece accaduto in altri paesi. Inoltre, in caso di emergenza fiscale, il governo potrà applicare un prelievo straordinario su attività finanziarie ed immobiliari, come fatto da Giuliano Amato nel 1992. Naturalmente le conseguenze politiche di una tale azione sarebbero devastanti, ma ai mercati interessa la solvibilità di breve termine. Ma c’è un’altra vulnerabilità, per il nostro paese.

La percezione di un crescente stress fiscale in Eurolandia porterà gli investitori a chiedere di essere compensati per il maggior rischio, cioè a richiedere tassi più elevati. Ciò si somma al premio al rischio di credito, che ha ormai fatto irruzione sulla scena dell’euro: non basta più essere membri del club per emettere debito allo stesso costo della Germania. Un aumento dei rendimenti richiesti dal mercato, in un contesto di stagnazione, farebbe esplodere il nostro deficit, mettendoci immediatamente sotto i riflettori come paese ad alto rischio, stante il nostro stock di debito. Questi sono scenari meno remoti di quanto si tenda a pensare.

La situazione resta estremamente complessa e al momento non si intravedono evoluzioni positive. La sensazione è che l’intera Eurolandia stia solo procrastinando la resa dei conti.


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