Grecia: comunque vada, niente lieto fine

di Mario Seminerio – Libertiamo

Nella tarda mattinata di venerdì 23 aprile il premier greco, George Papandreou, ha attivato le procedure per ottenere la linea di credito di emergenza di Unione europea e Fondo Monetario Internazionale, così come concordata nella dichiarazione d’intenti comunitaria del 25 marzo. La richiesta fa seguito ad una drammatica giornata sui mercati, in cui la curva dei rendimenti sui titoli di stato greci è schizzata al rialzo anche di due punti percentuali e si è invertita, con i rendimenti a breve superiori a quelli a lungo termine, segno inequivocabile di accresciuto rischio di dissesto.

Il problema immediato della Grecia è quello di passare indenne la scadenza del 19 maggio, quando dovrà essere rimborsato un titolo di stato per oltre 8 miliardi di euro. Il governo greco non avrà necessità di emettere per un importo equivalente, disponendo di risorse temporaneamente eccedenti, frutto di precedenti collocamenti di titoli pubblici. Ma il livello raggiunto dal costo del debito (che sulle scadenze a due anni ha superato il 10 per cento) è del tutto incompatibile con la profonda recessione che il paese attraversa, anche per effetto delle misure di austerità, mentre si rincorrono voci di una “ristrutturazione” del debito greco su base volontaria, cioè da parte di alcuni creditori, in modo da non azionare il regolamento dei credit default swap. Fuori dalle tecnicalità (per quanto è possibile, in questa vicenda), vi sono numerose criticità da analizzare. Andiamo per ordine, senza pretesa di esaustività.

In primo luogo, l’intervento servirà? Abbiamo seri dubbi. L’erogazione servirà a mantenere la Grecia in condizioni di liquidità di breve (o brevissimo) termine, ma la solvibilità del paese è sempre più a rischio. Un disavanzo previsto quest’anno al 13,6 per cento, e che appare destinato ad ulteriore peggioramento, per le note carenze di trasparenza del governo greco nella contabilizzazione dei surplus della sicurezza sociale e, soprattutto, delle operazioni di swap “fuori mercato”, quelle cioè in cui i flussi reddituali vengono scambiati a condizioni che consentono al debitore di incamerare subito (upfront) un illusorio beneficio contabile.

Altra incognita è la tenuta sociale del paese, sempre più precaria. La notizia della richiesta della linea di credito straordinaria ha causato nuove manifestazioni di piazza, perché tra la popolazione c’è consapevolezza che il FMI richiederà nuovi profondi tagli di spesa ed aumenti di entrate, in un paese che non può ricorrere all’aggiustamento strutturale attraverso la svalutazione del cambio. L’azione del FMI sarà verosimilmente modellata sul caso della Lettonia, paese candidato all’euro che ha preferito affrontare una violentissima deflazione ed un crollo del Pil di 20 punti percentuali pur di mantenere l’aggancio stretto della propria valuta nazionale all’euro. Ad oggi, pensare che i cittadini greci possano accettare lo “scenario lettone” è puro esercizio di fantasia. Il nostro timore è che lo stesso Papandreou stia tentando un bluff, richiedendo l’erogazione dei fondi senza accettare ulteriori misure. Un timore che, è bene precisarlo, riguarda il futuro dell’euro e dell’Unione europea, e tra poco spiegheremo il motivo.

Poi abbiamo la posizione tedesca. Straordinariamente ondivaga a livello governativo, ma risolutamente contraria al salvataggio tra l’opinione pubblica. Anche il governo di Angela Merkel ha a sua volta una data critica, in maggio: il 9, quando si terranno le elezioni nel Nord-Reno Westfalia, ma la posta in gioco va molto oltre. Il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, ha tentato di inserire il finanziamento della quota tedesca del prestito alla Grecia (oltre 8 miliardi di euro) in una “corsia preferenziale” legislativa, ma il suo tentativo è stato frustrato, e si dovrà ricorrere ad un provvedimento separato, che porterà la Germania ad erogare i fondi solo tra alcune settimane. Quanto al nostro paese, la nostra quota è pari all’incasso dello scudo fiscale. Che farà Giulio Tremonti? Una manovra finanziaria aggiuntiva, con passaggio parlamentare (la soluzione più trasparente), oppure troverà quei fondi tra le pieghe del bilancio, magari drenando ulteriori risorse destinabili ad investimenti pubblici ed aree depresse?

Riguardo l’euro-prestito, vi è un aspetto tecnico particolarmente importante: la posizione dei nuovi creditori rispetto a quelli esistenti. Sappiamo che i crediti del FMI hanno lo stato di “super-senior” rispetto a tutti gli altri, cioè il Fondo è creditore privilegiato a priorità massima sui rimborsi. Ma quale sarà lo status dei fondi erogati dai paesi europei? I tedeschi vorrebbero lo stesso status del FMI, ma questa mossa equivarrebbe a scaricare il rischio del default (che è molto alto, giova ripeterlo) sui creditori esistenti. Si otterrebbe l’effetto di accelerare la liquidazione di posizioni sui titoli di stato greci da parte degli investitori, e con essa il dissesto. All’opposto, se gli euro-creditori fossero equiparati ai creditori preesistenti e la Grecia dichiarasse default, i governi europei avrebbero immolato svariati miliardi di euro, e dovrebbero risponderne ai propri elettori.

Come si può agevolmente constatare, la partita in corso è complessa e dagli esiti potenzialmente distruttivi. Non solo e non tanto per la Grecia, quanto per la Ue. Se il prestito non sarà assoggettato a condizioni rigorose al limite della ferocia, il mercato sarà indotto a pensare che la Ue ha deciso di salvare tutti i propri membri in condizioni fiscali compromesse. Ciò è evidentemente impossibile, non foss’altro che per gli importi coinvolti lungo un arco di tempo pluriennale. Ma nel breve termine avremmo attacchi speculativi sui candidati a nuovi salvataggi (Portogallo e Spagna su tutti), con un verosimile aumento dei rendimenti anche sui titoli di stato tedeschi. Il maggiore onere sul servizio del debito che ne deriverebbe metterebbe in serie difficoltà quei paesi, come il nostro, che hanno un elevato peso del debito sul Pil, in una spirale perversa.

Che accadrà? In molti, soprattutto in Germania, si augurano a gran voce che la Grecia esca dall’euro, per poter recuperare margini di manovra sul cambio e recidere il potenziale sistemico del paese ellenico. Sfortunatamente, le procedure di fuoriuscita dalla moneta unica non esistono, e parimenti non è giuridicamente possibile pensare ad un’espulsione. Il governo di Papandreou sta tentando di massimizzare questo suo leverage negoziale, che però è tutto fuorché un “pasto gratis”, e potrebbe essere travolto dalle proteste di piazza, secondo una traiettoria “argentina”. In quest’ultimo caso, ipotizzando una decurtazione del valore di rimborso dei debito greco tra il 30 ed il 50 per cento, resterà da valutare quale sarà l’impatto sistemico del default sul sistema finanziario europeo, e sui paesi che rappresentano gli anelli più deboli della catena. Ma per l’analisi di scenario, ad oggi non riusciamo a scorgere un lieto fine.


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