La stretta che viene da Oriente

di Mario Seminerio

Come riporta Bloomberg, la banca centrale indiana ha ordinato ai prestatori di aumentare il cosiddetto statutory liquidity ratio, una sorta di ibrido tra coefficiente di riserva obbligatoria e vincolo di portafoglio a carico delle banche, portandolo dal 24 al 25 per cento. Ma l’India non è il solo paese a mettere mano a misure di ritiro parziale della formidabile espansione monetaria attuata negli ultimi due anni. Anche altre autorità monetarie della regione Asia-Pacifico stanno muovendosi, dopo l’aumento dei tassi ufficiali adottato giorni addietro dalla Reserve Bank of Australia, per contrastare il deterioramento delle partite correnti e la crescita di occupazione indotte dalla ripresa.

Il problema maggiore, per la regione asiatica, è al momento quello di contrastare lo sviluppo di bolle immobiliari indotte dal livello eccezionalmente basso dei tassi d’interesse e dalla enorme liquidità presente nel sistema finanziario globale. Per il momento, tuttavia, in luogo di aumenti espliciti dei tassi d’interesse, che rischiano di causare l’effetto perverso di un afflusso di “denaro caldo” in cerca di remunerazione, ed esacerbare la rivalutazione delle valute locali (peraltro già molto marcata contro dollaro e yuan), si preferisce optare per misure alternative e prevalentemente amministrative di razionamento del credito.

Tra tali misure alternative di raffreddamento del mercato immobiliare si segnala la stretta sul limite massimo d’indebitamento (il loan-to-value ratio, LTV). Ad Hong Kong, ad esempio, il LTV su case di lusso è stato ridotto dal 70 al 60 per cento. Ciò significa che gli acquirenti devono disporre di mezzi propri pari almeno al 40 per cento del valore dell’immobile. Inoltre, l’autorità governativa ha sospeso l’assicurazione pubblica per prestiti su immobili non occupati dal proprietario.  A Singapore, il governo ha vietato i prestiti che prevedono solo la corresponsione d’interesse per un periodo di tempo protratto. In Sud Corea il regolatore finanziario prevede una stretta al credito alle famiglie erogato da entità non bancarie, ed ha tagliato il LTV al 50 per cento. In Cina, dopo l’ubriacatura di credito facile dei mesi scorsi, le autorità hanno ordinato alle cinque maggiori istituzioni creditizie di aumentare gli accantonamenti per i bad loans e rafforzare i coefficienti patrimoniali.

Le prossime settimane e mesi vedranno un tentativo di normalizzare le condizioni monetarie e di prevenire, nei limiti del possibile, nuove bolle speculative. Ogni paese o area valutaria adotterà le soluzioni più idonee alla congiuntura, o almeno questo è l’auspicio, il tutto nella grande incognita relativa a tempi e modalità della ripresa americana. Per l’Area Euro il problema si porrà nel momento in cui si manifesteranno velocità differenziate di crescita economica. Al momento, la Francia pare nelle migliori condizioni congiunturali, come evidenziato dalla survey di ottobre degli indici dei direttori acquisti.

La Francia potrebbe diventare (o ridiventare) il paese consumatore d’Europa, e produrre un deficit delle partite correnti utile per dare una piccola spinta ai partner di Eurolandia. Ma non è tutto roseo. In un simile scenario (ed in ogni altra ipotesi di grande paese che cresce più della media europea), la Banca Centrale Europea verrebbe posta di fronte ad un dilemma di politica monetaria: se lascia i tassi invariati, il paese che cresce di più, e che sperimenta una ripresa inflazionistica, vedrebbe la propria crescita drogata da tassi d’interesse reali negativi, che condurrebbero ad un boom dei consumi e del credito. E’ il temuto scenario di bolla creditizia irlandese e spagnola, che dovrebbe essere gestito dal paese interessato, ricorrendo ad una stretta fiscale. Se la Bce decidesse invece una stretta monetaria per contrastare la crescita eccessiva di alcuni paesi, danneggerebbe l’economia di paesi in ritardo nella ripresa, come rischia di essere il nostro.


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