Sui talebani, i servizi e il nostro lavoro in Afghanistan

di Andrea Gilli

Commentiamo, con un certo ritardo, la notizia apparsa la scorsa settimana secondo la quale i nostri Servizi Segreti avrebbero direttamente pagato i talebani perchè questi non ci attaccassero.

Le possibilità sono due. O la notizia è falsa. Oppure è vera. Sembra lapalissiamo, ma per trarre alcune conclusioni bisogna partire da questo bivio.

Se la notizia è falsa, bisogna fare due ordini di considerazioni. In primo luogo, chi e perchè ha intenzione di indebolirci e di mettere a rischio il nostro contingente. Non lo sappiamo, anche se la provenienza della notizia (Londra) suggerisce – se questo fosse il caso – un certo disappunto in ambienti NATO/anglo-sassoni nei nostri confronti.

A supporto di questa possibile ipotesi arrivano due indizi. Il governo britannico non si è premurato di prendere le distanze, specificare, rettificare. E’ la stampa bellezza, si dirà. Non proprio: qui ne va di mezzo la sicurezza dei nostri soldati, nonchè l’onore e il rispetto di tutto il nostro Paese.

E l’ambasciata americana a Roma non ha tenuto un comportamento molto diverso: chiamata ad intervenire si è detta estranea a queste faccende.

Alternativamente, la notizia è vera. Seppure smentita da più parti, la nostra opinione – priva di riscontri fattuali – è che probabilmente sia proprio così: avremmo pagato ripetutamente i talebani per non farci attaccare.

Gli indizi sono innumerevoli e ciò spiegherebbe anche la freddezza di Londra e Washington. In primo luogo, non è la prima volta che paghiamo terroristi o guerriglieri perchè non ci attacchino o per riavere i nostri ostaggi.

Si ricordi i patti impliciti con l’OLP negli anni Ottanta, per cui in cambio della nostra attiva neutralità verso Arafat, il nostro Paese era fondamentalmente protetto dal terrorismo palestinese. Simile fu la nostra condotta in Libano nell’82, e anche nel 2006, quando il primo obiettivo del governo di allora fu rassicurare Hezbollah sulla nostra volontà di non intaccare le sue capacità operative.

A ciò va poi sommata la nostra particolare propensione a partecipare a missioni militari internazionali senza però voler poi combattere: Iraq, Libano e Afghanistan sono l’esempio migliore.

Infine, il governo italiano, come risposta, ha chiesto una rettifica da parte del governo afghano. Se consideriamo tutti gli aiuti che diamo al Paese, sarebbe strano aspettarsi un comportamento diverso da parte di Kabul.

In conclusione, se la notizia è falsa, allora bisogna davvero ragionare sulla nostra presenza in Afghanistan: noi stiamo là, e inglesi e americani decidono che alla fine un po’ di fango e un po’ di proittili contro il nostro contingente non possono che fare bene.

Oppure la notizia è vera. In questo caso, la grande presa in giro della nostra vocazione internazionale sarebbe svelata a tutto il mondo in presa diretta. In Afghanistan non salveremmo alcun afghano, non combatteremmo alcun talebano, non lavoreremmo per la libertà e la sicurezza dell’Occidente: invece, staremmo là per fare bella figura con i nostri alleati, ma senza alcuna intenzione di essere sottoposti a dei rischi. Dei cialtroni, in altre parole.

Tra le due ipotesi è onestamente difficile capire quale preferire, anche se è evidente quale sia la più credibile.


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