di Andrea Gilli
Venerdì sono iniziate le trattative con l’Iran sul suo programma nucleare. Poiché sulla stampa si leggono interpretazioni contrastanti, conviene brevemente riepilogare rischi e vantaggi di questa mossa e soprattutto le sue reali possibilità di successo.
Essendo tra i pochi, in Italia, a chiedere trattative serrate con l’Iran sul suo programma nucleare (sin dal lontano 2005, per la precisione), non deve stupire il nostro compiacimento per la prima tornata di discussioni avvenuta a Ginevra venerdì scorso.
Allo stesso modo, vale la pena analizzare la situazione per non cadere in facili luoghi comuni.
In primo luogo, perchè trattare? Lo abbiamo già detto più volte. Gli Stati Uniti stanno affrontando un periodo di declino relativo. Ciò significa che stanno diventando più deboli. Non solo o necessariamente per la crisi finanziaria, per l’Iraq, per l’Afghanistan o per Bush, ma piuttosto perché altri stanno diventando più forti: Cina, India, in parte la Russia, lo stesso Iran, il Brasile. In questo contesto, gli USA non si possono più permettere i lussi che sembravano a portata di mano solo pochi anni fa. Una politica durissima contro l’Iran, senza parlare di un attacco militare, non solo non avrebbe successo, ma sarebbe anche altamente controproducente. Cina, Russia e India non appoggerebbero le sanzioni, e anzi sfrutterebbero l’allontamento americano per commerciare maggiormente con Tehran. Il risultato sarebbe devastante.
Se dunque trattare è inevitabile, non è scontato che le trattative abbiano successo. Molti si dimenticano che siamo di fronte ad attori e processi interattivi. In altri termini, chi ci sta di fronte è intellitenge e risponde alle nostre azioni. Prima di guardare agli eventuali esiti delle discussioni, conviene analizzare un’assunto implicito del negoziato: si riconoscono gli interessi dell’avversario come legittimi.
A proposito dell’Iran, ci si dimentica spesso un semplice particolare: se l’interesse americano (ed europeo) è quello di un Medio Oriente pacifico (non troppo prospero, però) che ci dia tutto il petrolio che vogliamo senza esportarci anche le sue magagne (immigrazione, terrorismo, fanatismo religioso, etc.), l’interesse dell’Iran è di accrescere quando più possibile la sua sfera d’influenza nella regione, minimizzando l’interferenza esterna.
I reciproci interessi sono evidentemente contrastanti – e legittimi. Finora, l’approccio americano è stato morale: i nostri interessi sono legittimi, quelli iraniani no. Sedendosi allo stesso tavolo con gli iraniani, gli americani stanno dicendo a Tehran di accettare che questi abbiano dei loro interessi – senza però accettare questi ultimi in quanto tali.
Arriviamo dunque alle prospettive di questo dialogo. Queste dipendono dalla volontà e capacità di fare compromessi, soprattutto in una complicata logica di reputazione, guadagni relativi, scenari futuri. Per esempio, nessuno vuole uscire dalla trattativa avendo dato l’impressione di averci perso: la sua reputazione andrebbe infatti distrutta. Allo stesso modo, nessuno dei due vuole guadanarci meno dell’altro, in termini relativi – altrimenti, la stessa trattativa perde significato. Infine, nessuno dei due vuole porre le basi per delle proprie difficoltà future.
E’ possibile che le trattative conducano ad un successo. Come è anche possibile il contrario. Se gli americani si siedono al tavolo ma non modificano le loro posizioni, allora il dialogo fallirà: se di dialogo si può parlare. Lo stesso vale per l’Iran. Non è infatti da escludere che una delle due parti, o entrambe, magari veda questo negoziato in termini puramente strumentali: vuole parteciparvi con il solo scopo di farlo fallire, così da screditare l’avversario.
Ovviamente non possiamo dire se e cosa succederà. E’ certo che, per raggiungere il compromesso, tutte e due le parti dovranno fare dei compromessi. Gli americani dovranno accettare un maggiore ruolo dell’Iran nella regione. E l’Iran dovrà moderare la sua politica estera, dal finanziamento ad Hizbullah al nucleare.
In caso contrario, vedere nel negoziato le cause del suo stesso fallimento sarebbo un po’ ipocrita. La colpa continuerà ad essere dei due attori, e dei loro reciproci interessi contrastanti. Finora gli Stati Uniti non hanno voluto trattare, nella speranza che la loro posizione dominante piegasse l’Iran. Non è inverosimile pensare che, a questo punto (Tehran relativamente forte, Washington relativamente debole), le parti si invertano. Ovvero che l’Iran perda interesse nelle trattative, nella speranza che il declnio americano continui, e dunque Washington non possa più intaccare il Paese e i suoi interessi.
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