Il mercato azionario è troppo ottimista?

di Mario Seminerio

Pare ormai acquisito che la Grande Recessione stia volgendo al termine, almeno sul piano delle variazioni del Pil, mentre l’andamento dell’occupazione sembra destinato a restare depresso almeno fino alla seconda metà del 2010. Circostanza che solleva perplessità riguardo la sostenibilità della ripresa nella perdurante assenza del consumatore americano, che deve prioritariamente preoccuparsi di ridurre il proprio indebitamento e non perdere il lavoro, o trovarne uno nuovo, in caso sia disoccupato. Tra gli analisti restano tuttavia significative divergenze riguardo il vigore della ripresa in atto e la sua auto-sostenibilità, al netto dell’impulso fiscale.

Si discute della conformazione della ripresa: a forma di L, cioè stabilizzata su livelli di attività depressi? Oppure di W, cioè un tentativo di ripresa a cui fa seguito una vera e propria ricaduta, ad esempio per effetto dell’attuazione troppo anticipata di “strategie di uscita” dal sostegno fiscale e monetario all’economia? Sembra ormai definitivamente accantonata l’ipotesi di una ripresa a forma di V, cioè di un rimbalzo violento dell’attività, fino a recuperare più o meno rapidamente le condizioni precedenti l’inizio della crisi.

Negl Stati Uniti, epicentro della crisi e punto di riferimento per l’evoluzione della congiuntura, l’adozione di misure di stimolo ai consumi, come il programma di rottamazione dei veicoli più vecchi ed inquinanti, con erogazione di un importo a fondo perduto a favore degli acquirenti, appare destinato soprattutto a drenare domanda dal futuro, anticipando decisioni di spesa, come sembra evidenziarsi anche dai primi deboli dati di acquisti di autoveicoli in questo mese, dopo la scadenza del programma pubblico. Peraltro questo stimolo ha beneficiato in misura determinante i costruttori non statunitensi.

Per l’autunno già si prospettano programmi analoghi per gli elettrodomestici, mentre il Congresso potrebbe prorogare ed estendere il contributo a fondo perduto di 8000 dollari a favore degli acquirenti di prima casa, destinato a scadere il prossimo 30 novembre, e che sta determinando robusti flussi di domanda, che contribuiranno a determinare un rimbalzo del Pil nel terzo trimestre e forse nel quarto.

La domanda che tutti si pongono è relativa alla capacità dell’economia statunitense di sostenersi autonomamente quando la spesa pubblica e le agevolazioni fiscali verranno meno. La seconda stima del Pil del secondo trimestre, negativo per l’1 per cento annualizzato, mostra un contributo determinante dei consumi governativi, a fronte di marcata contrazione dell’investimento e di consumi privati ancora in flessione, sia pur attenuata rispetto al primo trimestre.

A differenza di quanto accade nell’economia reale, in quella finanziaria è per contro in atto da ormai un semestre un movimento di ripresa a V, testimoniato da un recupero degli indici dell’ordine del 50 per cento dai minimi. E’ quindi interessante confrontare l’andamento storico dell’economia reale nel momento di un recupero degli indici azionari di questa entità. Lo ha fatto, riguardo gli Stati Uniti, l’economista David Rosenberg, ex Merrill Lynch ed oggi strategist dell’asset manager canadese Gluskin Sheff, ed il risultato è sorprendente.

Ad esempio, storicamente un recupero delle borse del 50 per cento si è verificato in presenza di un’espansione media del Pil del 4,5 per cento, con una occupazione in crescita di 850.000 unità, un indice ISM manifatturiero in confortante espansione al livello di 56,2, profitti aziendali in ripresa del 12 per cento, credito bancario in ascesa del 5 per cento. Oggi, a fronte di un aumento degli indici azionari del 50 per cento, abbiamo Pil, occupazione, e profitti aziendali che stanno tentando di trovare un minimo di ciclo; un indice ISM a malapena tornato al livello di 50, che indica stazionarietà dei livelli di attività; ed il credito bancario ancora in condizioni restrittive.

A livello di mercato azionario, inoltre, occorre segnalare che il rally di Wall Street è avvenuto con un andamento decrescente dei volumi scambiati, che cinque società in condizioni precarie e presenza pubblica determinante nel capitale (AIG, Freddie Mac, Fannie Mae, Citigroup e Bank of America) rappresentano circa un terzo del volume di scambi giornalieri e che, secondo alcune stime, il 70 per cento degli scambi azionari implica un ordine di acquisto o vendita generato da società attive negli ordini elettronici ad alta frequenza, da tempo sotto i riflettori dei regolatori per ipotizzate violazioni delle condizioni di parità di trattamento tra investitori nell’accesso alle negoziazioni.

I forti recuperi dei corsi azionari si sono inoltre verificati non in presenza di una ritrovata redditività, bensì di risultati “meno peggiori” delle attese, e multipli quali il rapporto prezzo/utili appaiono costosi secondo qualsiasi standard, oltre che significativamente superiori ai livelli tipici delle fasi di ripresa. Caratteristica degli annunci sui conti trimestrali aziendali è il forte taglio dei costi di struttura (spese amministrative, commerciali, per il personale) come determinante della tenuta o del miglioramento degli utili, a fronte di andamenti ancora negativi del fatturato.

Come si nota, vi sono sufficienti elementi di cautela rispetto all’investimento azionario, anche se il pervasivo supporto pubblico, l’abbondante liquidità e l’apparente miglioramento dei livelli di attività potrebbero permettere al mercato di proseguire nel breve termine il movimento di recupero o di non subire correzioni violente. L’incognita maggiore è quella relativa al mercato azionario cinese, che si trova in condizioni di sopravvalutazione molto marcata, e che ha iniziato un ribasso piuttosto accentuato sui timori di strette monetarie ed amministrative al credito ed ai flussi finanziari speculativi, elementi che potrebbero far venire meno la trazione sulla crescita globale finora esercitata dalla Cina.


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