di Andrea Gilli
Due settimane fa, il Segretario della Difesa statunitense Robert Gates ha tenuto un importante discorso a Chicago. A nostro modo di vedere, l’intervento merita particolare attenzione per tre distinte ragioni. A livello più generale, e a dieci anni di distanza, esso si pone come il nuovo paradigma del sistema internazionale – andando così a sostituire il famoso discorso di Tony Blair tenuto proprio a Chicago nel 1999. In secondo luogo, a livello intermedio, Gates identifica le importanti sfide domestiche che la presidenza Obama deve essere in grado di affrontare. Infine, il segretario americano getta uno sguardo alla defensive posture americana analizzando i cambiamenti necessari sia per prendere atto dei mutamenti intervenuti a livello internazionale che del malfunzionamento del sistema americano.
Se un discorso può essere elevato a paradigma di un’era, l’intervento che Tony Blair, allora primo ministro britannico, tenne il 24 Aprile 1999 al Chicago Council on Foreign Affairs rappresenta senz’altro la chiave di lettura più adeguata per capire gran parte degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio. Blair annunciava la dottrina dell’interventismo umanitario, sottolineava la sua fiducia nel commercio internazionale e nella globalizzazione ed enfatizzava l’importanza ma anche i problemi delle organizzazioni internazionali. La parte più importante del discorso di Blair è però il non detto, l’implicito. Unipolarismo, egemonia, primazia non sono mai citate. Blair dà un vago accenno alla supremazia americana, ma non dedica all’argomento molto spazio.
Questo è il più grande vizio dell’intera formulazione logica (e teorica) dell’ex-Primo ministro. Nel suo intervento, cioè, Blair non ha colto (come la maggior parte dei commentatori dell’epoca) come l’interventismo umanitario, i diritti umani, le sanzioni, la promozione della democrazia fossero possibili per una semplice ragione: la supremazia americana.
Questa lacuna è ben visibile guardando il discorso pronunciato da Gates. Sebbene il tema in discussione sia la difesa americana e la sua riforma, dalle parole dell’ex-Capo della Cia emerge chiaramente la consapevolezza di come quello di oggi sia un mondo nettamente diverso da quello del 1999. E non per colpa di Al Qaeda, della proliferazione nucleare in Iraq e Corea del Nord o della Guerra in Iraq, ma per via della crescita di nuove Grandi Potenze: Cina, India, Russia, Brasile. L’implicazione principale è presto tratta: l’America, prima di promuovere diritti umani, democrazia e libertà, deve pensare a difendere i propri cittadini e a prepararsi per le guerre del futuro. L’intera difesa americana (dalle forze armate allo sviluppo di nuovi sistemi d’arma) deve dunque adeguarsi a questa duplice necessità. Per il resto, non c’è né tempo né soldi.
E qui si arriva al secondo punto. Anche questo viene toccato leggermente, ma pur sempre dimostra una chiara presa d’atto delle sfide interne all’America. Guardando ai problemi che hanno bloccato, rallentato o aumentato i costi di gran parte dei sistemi d’arma sviluppati negli ultimi anni, Gates lancia uno sguardo cupo e pieno di perplessità sul risultato prodotto dall’interazione tra lobby, interessi particolaristici del Congresso, burocrazie del Pentagono e bilancio federale. Ovvero sulla capacità del sistema americano di reggere le sfide del futuro.
La menzione è indiretta e veloce, ma certo non può non suonare una campana, soprattutto per chi ha in mente la scarsa fiducia di autori quali Tocqueville o Schumpeter sulla democrazia, sul suo funzionamento e sulla sua capacità di reggere alle sue sfide interne.
Questo punto è importante in quanto sembra sposare totalmente la tesi di alcuni dei più importanti studiosi in materia quali Gholz e Sapolski (1, 2 e 3) sul (mal) funzionamento dell’industria della difesa americana. In breve, il Congresso, preoccupato attraverso i suoi vari membri di mantenere alti livelli di produzione nei suoi vari distretti elettorali, in modo da preservare i posti di lavoro dell’economia locale (e dunque i propri voti), favorirebbe una spesa schizofrenica quando si tratta di approvigionamenti militari e in questo processo verrebbe aiutato dagi interessi particolaristici delle varie burocrazie militari – a loro volta interessate ad aumentare a dismisura le loro sfere di competenza e i programmi sotto la loro supervisione. E’ interessante, in questo frangente, notare come gli stessi Gholz e Sapolski (1 e 2) siano anche a favore di un “Come Home, America”, ovvero di una politica isolazionista che riporti a casa truppe, basi e soprattutto soldi americani. Politica isolazionista che sottolinea in primo luogo l’incapacità americana di ottenere obiettivi ambiziosi in giro per il mondo – soprattutto quando altre Potenze sono in ascesa. La stessa perplessità viene espressa da Gates nel suo intervento (come abbiamo sottolineato nel precedente paragrafo).
Infine, il Capo del Pentagono sottolinea la necessità di riallineare la defense posture americana al nuovo sistema internazionale. In primo luogo, maggiori risorse devono essere allocate per le operazioni in cordo e quindi ai conflitti asimmetrici, alle operazioni di stabilizzazione, ricostruzione e di nation-building. E’ infatti inutile – secondo Gates – spendere miliardi di dollari per vincere le guerre del futuro quando non si vincono le guerre di oggi. In secondo luogo, l’ascesa di Potenze potenzialmente rivali richiede di prepararsi a possibili conflitti futuri. In questo contesto, Gates sottolinea la necessità di superare la dicotomia tra guerre convenzionali e guerre asimmetriche che spesso polarizza il dibattito sulla difesa americana. Come sia alcune formulazioni logiche e teoriche che l’evidenza empirica dimostrano, è probabile che i conflitti del futuro siano a metà di questo spettro. Ciò significa che eventuali Potenze nemiche ricorreranno a tattiche asimmetriche nel caso di un conflitto con l’America. Allo stesso modo, gruppi non-statali quali terroristi, guerriglieri, o criminali ricorreranno a strumenti più convenzionali (quali missili terra-aria, difese anti-missile, etc.) per attaccare gli Stati Uniti. Queste considerazioni richiedono un mix di strumenti per affrontare qualsiasi minaccia. Una sintesi tra la tesi e l’antitesi delle guerre convenzionali e asimmetriche, dunque.
Infine, tutto ciò richiede riforme. Riforme delle forze armate. Riforme istituzionali. Riforme procedurali. Riforme, tutte, che ledono gli interessi particolartici di molti ma che sono esseniziali per l’interesse collettivo. Come abbiamo sottolineato nel precedente paragrafo, per Gates questa è la sfida più importante.
Change è la parola chiave dell’era americana. Change dell’America, per via del change del mondo, come unica soluzione per mantenere la forza dell’America nel mondo. Questo è il paradigma di Gates.
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