di Mario Seminerio – Liberal Quotidiano
Mentre si attende sempre il materializzarsi della ripresa, o almeno la stabilizzazione del livello di attività economica, l’ultimo bollettino mensile della Banca Centrale Europea segnala che il tasso al quale l’economia della zona euro può espandersi senza innescare inflazione potrebbe avere rallentato a causa della crisi. Il ridimensionamento della crescita potenziale potrebbe essere un motivo per cui a Francoforte non sembrano disposti a sfruttare l’ultimo margine di allentamento della politica monetaria, il tasso zero, pur avendo di fronte la prospettiva di un basso tasso di inflazione.
La BCE ha tagliato i tassi d’interesse all’1%, ma i responsabili della politica monetaria hanno segnalato che sono non sono disposti ad andare oltre, a meno di un netto peggioramento delle prospettive economiche. Il programma di acquisto di 60 miliardi di euro-bond da parte della BCE è inferiore a quelli analoghi adottati finora negli Stati Uniti e nel Regno Unito, mentre il tasso d’inflazione annuale della zona Euro, che la BCE, che mira a tenere sotto il 2%, è sceso in giugno sotto zero, a meno 0,1%, e le previsioni sono a circa 0,3% quest’anno e l’1% nel 2010. Perché quindi tanta prudenza da parte di Trichet?
Tradizionalmente, il potenziale di crescita dell’Area Euro si colloca intorno al 2-2,25%, e la BCE prende molto sul serio tali stime: a giugno 2007, quando le previsioni ipotizzavano un incremento del Pil dell’Area del 2,6 per cento sull’anno precedente, la BCE aumentò rapidamente il tasso di riferimento, dal 3,75 al 4%. Ora, però, la crisi potrebbe avere assestato un colpo a tale potenziale di crescita, portandolo fino a sotto l’1 per cento nel periodo 2009-2010, secondo la BCE.
A parità di altre condizioni e in linea di massima, quando la crescita dell’economia supera il suo potenziale di lungo periodo, le pressioni inflazionistiche tendono ad accumularsi. Un minor tasso di crescita potenziale di lungo periodo potrebbe quindi costringere i banchieri centrali a tirare prima il freno, dal momento che serve meno espansione per fornire combustibile all’inflazione.
Tra le ragioni del calo del Pil potenziale, la BCE cita la rigidità dei mercati del lavoro, che potrebbe tenere le persone persistentemente fuori dal mercato del lavoro; la scarsità e maggiore onerosità del credito, che potrebbe frenare l’investimento; mentre interi settori, come il manifatturiero, potrebbero subire un ridimensionamento, frenando la spinta al recupero di produttività. I governi potrebbero poi peggiorare la situazione, in caso il perdurare della crisi determinasse un aumento delle dimensioni del settore pubblico, perché in quel caso le tasse prima o poi dovranno essere aumentate, e ciò rallenterà la crescita del prodotto potenziale. Ecco perché, in assenza di misure di rilancio della produttività, sull’Europa grava un rischio di stagflazione strutturale dal momento in cui la ripresa tenderà a materializzarsi.
Per questo, come ha recentemente scritto l’economista statunitense, Kenneth Rogoff, l’Europa deve recuperare crescita di lungo termine non con politiche fiscali espansive bensì attraverso riforme strutturali quali un mercato del lavoro flessibile, un mercato finanziario pan-europeo e la continua apertura del commercio estero.
Sfortunatamente, quello che stiamo vedendo oggi in Europa è l’esatto contrario di quanto andrebbe realizzato. Se e quando la ripresa si manifesterà sarà certamente più comodo, per i governi, incolpare la BCE delle azioni di freno.
Scopri di più da Epistemes
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.