Le possibilità di uno Stato mondiale – Parte II

di Andrea Gilli

L’idea di una struttura sovrana internazionale, sia esso uno Stato mondiale, un’organizzazione federale globale, o un impero universale, ha un lungo passato che data almeno dal 1300 con la formulazione iniziale di Dante, ma che può essere rintracciata anche nei secoli e millenni precedenti, anche al di là della filosofia occidentale.

A dispetto di questo glorioso passato intellettuale, quest’idea si scontra con una deludente applicazione pratica. In questo articolo, proviamo brevemente a capirne le ragioni.

Come abbiamo visto nel precedente articolo, la concettualizzazione dell’idea di Stato mondiale soffre una forte tensione interna. Da una parte, si vede l’aggregazione come una soluzione alle divisioni che portano alle guerre (centralismo), dall’altra, si riconosce come solo la divisione, riducendo il potere centrale, possa portare alla pace (federalismo).

Se il centralismo porta quindi all’assenza di guerre, esso porterebbe anche all’accentramento di potere: da una situazione di guerra permanente tra Stati (massima libertà, ma minima sicurezza) si rischierebbe dunque di passare ad uno stato di dittatura permanente (massima sicurezza, ma nessuna libertà). Affinché tutti ci possano capire, questo è proprio l’epilogo a cui si oppongono i protagonisti de Il Signore degli Anelli. I vari regni che si uniscono contro Sauron hanno alle spalle secoli di conflitti: preferiscono però di gran lunga questa situazione di incertezza al più cupo futuro proposto dal nascente tiranno, fatto fondamentalmente di assenza di libertà. Perché nell’insicurezza, si è comunque liberi di combattere per difendersi. Nell’assenza di libertà, invece, non si è in ogni caso sicuri: visto che qualcun altro è libero di decidere dell’altrui futuro.

Proprio in questa antica tensione tra libertà e sicurezza si trova, a nostro modo di vedere, la ragione principale per cui uno Stato mondiale non è ancora stato creato e, per chi scrive, non nascerà neppure in futuro. Gli individui non vogliono l’insicurezza, ma neppure l’assenza di libertà in quanto essa finisce per eliminare anche la sicurezza – proprio come l’assenza di sicurezza più assoluta di fatto preclude anche la libertà. Stalin ha portato “sicurezza”, nel senso che ha eliminato i secoli di guerre tra gli Stati dell’Est Europa. Il prezzo è stato però anche una drammatica retrocessione nel campo della libertà.

Lo Stato mondiale è costretto a soffrire esattamente questi dilemmi. Prima di procedere, chiariamo analiticamente cosa intendiamo per libertà e sicurezza. Per uno Stato, la libertà è semplicemente la possibilità di decidere autonomamente del proprio futuro. La sicurezza è invece la condizione nella quale esso non rischia l’invasione esterna.

Le due sfere stanno su due punti opposti di una retta. Tutto a sinistra si trova la sicurezza. Tutto a destra la libertà. Come detto, massima sicurezza significa nessuna libertà. Sotto l’URSS, la Polonia era “sicura”. Non rischiava di essere invasa. Allo stesso tempo, ciò però significava zero libertà. Israele è “libero”, nel senso che non avendo rigide alleanze internazionali o regionali, è uno dei Paesi al mondo maggiormente in grado di plasmare autonomamente il proprio futuro. Massima libertà viene però al costo di uno stato di perenne insicurezza. La Corea del Nord è un Paese che gode di una simile “libertà”: e difatti la possibilità di decidere qualunque opzione per il proprio futuro costa al Paese il continuo rischio di invasione esterna. Ovviamente, il termine libertà si riferisce all’azione esterna, non alla situazione interna che come è ovvio differisce sostanzialmente da Gerusalemme a Pyongyang.

L’anarchia internazionale del 1600 e del 1700 si trova, sulla nostra retta, sul lato destro. Le continue guerre dimostrano quanto la libertà assoluta di cui godevano gli Stati europei del periodo abbia portato anche ad una drammatica spirale di insicurezza. Insicurezza che, alla fine, ha intaccato la stessa libertà: perché un Paese costretto ad armarsi e combattere continuamente, non è poi neppure così libero come si può inizialmente pensare. Lo Stato mondiale, dall’altra parte, si collocherebbe tutto a sinistra.

Accentrando la libertà per risolvere la sicurezza, esso finirebbe però anche per eliminare la sicurezza delle sue varie parti costituenti. In quanto esse verrebbero a dipendere unicamente dalle scelte del centro. Scelte che, come le carestie in Ucraina o i disastri ambientali nel Caucaso dimostrano, sono intrinsecamente condannate a penalizzare qualcuno: ovvero a renderlo insicuro.

Logicamente, l’unica ragione per cui uno Stato mondiale possa essere costruito è dunque quella proposta da Wendt: l’arrivo degli alieni. Il fatto che la scienza politica abbia dovuto chiamare E.T. per giustificare una sua formulazione teorica la dice lunga sul passo che bisogna compiere per creare uno Stato mondiale.

Se l’idea di un’organizzazione sovrana mondiale vedrebbe la reazione contraria degli Stati, non dobbiamo in fine dimenticarci la reazione dei popoli. Identità, culture, tradizioni verrebbero messe immediatamente sotto pressione. Proprio come l’Unione Europea, e il suo progetto di integrazione regionale, ha scatenato l’emergere delle piccole patrie e delle piccole identità nazionali, così lo Stato mondiale scatenerebbe reazioni schizofreniche tra le varie culture della terra. Questioni neutre quali la lingua ufficiale, il modello istituzionale, il tipo di diritto e di diritti avrebbero immediatamente ripercussioni sulle tradizioni dei vari popoli. Neutre, tali questioni, apparirebbero solo chi vedesse vincente il proprio modello: per gli altri, si tratterebbe di imperialismo culturale e istituzionale. L’alternativa, uno Stato mondiale non invasivo, sarebbe una non alternativa: se esso lascia troppa libertà ai singoli Stati, allora non è più in grado di risolvere l’insicurezza caratterizzante le loro relazioni. E dunque il progetto sarebbe privo di senso.

Wendt, anche in questo caso, è quello che probabilmente ha avuto la vista più lunga. La scoperta degli alieni porterebbe il genere umano a vedersi per quello che è: un solo popolo che ha più cose in comune di quante lo dividano. Nel frattempo, in attesa degli alieni, però, senza una ragione per vedere le similitudini, le differenze continueranno a palesarsi drammaticamente e a contrastare il movimento accentratore.

Questa tensione filosofica tra libertà e sicurezza ha dominato le relazioni tra e dentro tutti i tipi di comunità politiche fin da quando l’uomo vive sulla Terra. Lo Stato mondiale è stata una delle tante proposte concettuali sviluppate per risolvere questo dilemma – dal lato della sicurezza. L’anarchia totale, incorporata nel concetto di sovranità nazionale, è stata la soluzione proposta per risolvere la questione della libertà. Il genere umano ha sempre rifiutato gli estremi. L’anarchia internazionale è stata temperata attraverso lo sviluppo di organizzazioni e istituzioni internazionali (dal concerto delle potenze al diritto internazionale, dalle alleanze internazionali all’ONU).

Allo stesso modo, la prospettiva di uno Stato mondiale verrà evitata ricorrendo allo sviluppo o rafforzamento di istituzioni o organizzazioni internazionali già esistenti. Pensare che il genere umano, per la priva volta nella sua storia, possa risolvere in maniera così netta la dicotomia tra libertà e sicurezza è non solo ingenuo, ma anche sorprendente. In futuro, di fronte alla possibilità di realizzare davvero uno Stato mondiale, la preoccupazione per la libertà emergerà vigorosamente: affossando così, per l’ennesima volta, le speranze di creare un organismo sovrano mondiale.


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