di Andrea Gilli

Con la nuova enciclica papale Caritas in Veritate, Benedetto XVI ha suggerito di trovare una soluzione ai vari problemi che affliggono attualmente l’umanità in un’Autorità politica mondiale. Lo Stato mondiale. Di questo progetto si è parlato per secoli. L’idea era particolarmente in auge fino a qualche anno fa, ed è poi temporaneamente scomparsa. Ora sembra risorta con la sopracitata enciclica. In questo articolo proviamo a tracciare una breve e non completa storia intellettuale del concetto di stato mondiale e poi, in un secondo, a stabilirne le effettive possibilità di realizzazione.

Una delle prime formulazioni concettuali di Stato mondiale appartiene a Dante Alighieri che, nel suo De Monarchia, identifica nella ricostruzione del Sacro Romano Impero la soluzione alla conflittualità tra popoli e, soprattutto, tra papato e potere temporale. L’idea di Dante non ebbe troppo successo: il testo (composto di tre volumi) venne scritto in pieno Medio Evo, quando l’autorità politica riusciva a stento ad estendersi efficacemente oltre le mura delle città-stato.

Ciononostante, con il regno di Carlo V, la formulazione ricevette nuova attenzione. Carlo V era riuscito a costruire un impero sul quale non tramontava mai il Sole e per molti, soprattutto i suoi sostenitori, il suo operato andava proprio nella direzione di attuare l’impresa immaginata da Dante. Purtroppo per Carlo V, la dura realtà dell’equilibrio di potenza lo mise fuori gioco, il suo progetto di unificare l’Europa fallì, e il suo impero finì diviso tra il figlio e il fratello. La crescita dell’Olanda (la Repubblica delle Province Unite) e dell’Inghilterra avrebbe poi messo definitivamente la parola fine sui sogni spagnoli.

Proprio nei Paesi Bassi, in quel periodo, l’idea di Stato mondiale veniva in parte riformulata. Althusius, gettando le basi del federalismo, identificava infatti nella soluzione federale la soluzione alla conflittualità tra individui e tra autorità. Di fatto, anche se non del tutto direttamente, l’idea poteva essere proiettata su larga scala, appunto lo Stato mondiale, anche se la formulazione iniziale era di più breve respiro.

Le varie guerre di indipendenza che le Province Unite dovettero affrontare contro la Spagna di Filippo II e poi di sopravvivenza contro la Francia mostrarono quanto, prima del federalismo, fosse necessario pensare innanzitutto alla propria sicurezza e alla propria sovranità. I due secoli che vanno da fine Cinquecento a fine Settencento mostrarono all’umanità quando la ricerca di sicurezza e il tentativo di instaurare la sovranità statale potessero portare ad una recrudescenza delle relazioni tra uomini. Intento a risolvere l’immane dilemma della guerra, Kant entrò a suo modo nel dibattito sullo Stato mondiale proponendo il pactum foederis. Anche in questo caso, la pace tra Stati sarebbe stata raggiunta attraverso il soddisfacimento di due condizioni. Uno stato federale doveva essere creato. E questo doveva essere composto di repubbliche. Altrimenti, riecheggiando i pronunciamenti di Hobbes, senza uno Stato federale il sistema internazionale sarebbe stato lasciato in uno stato di natura dominato dalla logica homo homini lupus.

Le idee di Kant ebbero effetti disarmanti sul pensiero politico dell’Ottocento, in quanto alimentarono una serie di dibattiti che possiamo trovare vivi ancor oggi. A mostro modo di vedere, tre meritano particolare attenzione.

Il primo riguarda l’effetto pacifico dei commerci. Kant non è stato uno dei più autorevoli esponenti del cosiddetto commercial e sociological liberalism, ciononostante rilevò come scambi commerciali e culturali potessero indebolire le ragioni per andare in guerra.

In secondo luogo, Kant aprì o anticipò la strada del pensiero libertario. Vedendo come la guerra sia spesso causata dalla ricerca del potere, Kant identificò nella riduzione del potere statale una soluzione ai conflitti tra Stati. In altre parole, per eliminare la guerra non è necessario eliminare gli eserciti, ma piuttosto disarmare gli Stati.

Infine Kant, identificando sì nella diffusione del potere, ma anche nel suo accentramento finale in una federazione mondiale, la soluzione alla guerra, si pose in contrasto ad altri illuministi (principalmente David Hume) che proponevano invece l’equilibrio di potenza come strumento più efficace per raggiungere questo obiettivo.

L’Ottocento, emerso dalle ceneri della furia (rivoluzionaria) napoleonica vide un lungo periodo di pace (tra Stati) grazie al Concerto delle Potenze. Quell’equilibrio era però messo continuamente a rischio dalle insurrezioni nazionalistiche che affliggevano l’Europa. Se la stabilità veniva garantita, molti percepitavano quell’ordine come profondamente ingiusto. E così, l’idea di uno Stato o una federazione mondiale rieccheggiò, a seconda delle circostanze, nei pensieri di Proudhon, Mazzini o Engels.

L’emergere dell’internazionale socialista e delle tensioni che poi portarono alla Prima guerra mondiale tennero nuovamente nel limbo l’idea di Stato mondiale, che prese però nuova forza subito dopo la pace di Versailles, quando un insieme variegato di studiosi (soprattutto filosofi politici e giuristi internazionali) riproposero l’idea di una sovranità mondiale come soluzione alla carneficina tra uomini. Se il fallimento della Lega delle Nazioni, l’ascesa di Hitler e poi la Seconda Guerra mondiale diedero un nuovo durissimo colpo all’idea di un ordine mondiale fondato su un’autorità unica, nel secondo dopoguerra la proposizione venne nuovamente presentata.

Prima toccò al movimento federalista che, vedendo nell’Unione Europa l’esempio più palese dell’abolizione della guerra attraverso la cessione della sovranità nazionale ad organismi sopra-nazionali, propose uno Stato federalista mondiale per raggiungere la pace nel globo.

Poi venne, sorprendentemente, Hans J. Morgenthau. L’alfiere del Realismo per antonomasia che, alla fine della sua illustre carriera accademica, riconobbe l’impossibilità di arrivare all’armonia tra nazioni, o anche solo ad una stabilità accettabile, attraverso il meccanismo dell’equilibrio di potenza. Di qui, scrisse Morgenthau, la necessità/indispensabilità dello Stato mondiale come soluzione ai conflitti tra nazioni.

L’ultimo, infine, è stato Alexander Wendt, celeberrimo studioso di relazioni internazionali e probabilmente il più autorevole tra i fautori dell’approccio sociologico al campo delle relazioni internazionali che, in un articolo del 2003, ha sottolineato come l’eventuale scoperta di fenomeni di vita aliena darebbe vita ad un processo costitutivo di identificazione collettiva intersoggettiva, all’interno della Terra, la cui naturale evoluzione consisterebbe nella costituzione di uno Stato mondiale.

Il pontefice Benedetto XVI, con la sua enciclica, va dunque ad inserirsi in questa gloriosa tradizione. Nel prossimo articolo esamineremo i problemi pratici ed operativi che hanno finora, e probabilmente continueranno in futuro, impedito la creazione di uno Stato mondiale.

Chiudiamo questo articolo evidenziando alcune peculiarità di questo dibattito. In primo luogo, la tendenza ad individuare nell’unificazione e nell’omologazione una soluzione alla conflittualità umana sembra ben radicata non solo nella filosofia politica Occidentale (come abbiamo mostrato) ma anche in altre culture. Gli imperi universali (cinese e romano, per esempio) avevano chiaramente mostrato che questa tendenza era anche ben radicata nella loro cosmologia. Le grandi religioni come Islam e Cristianesimo non sono da meno: anch’esse hanno, nei secoli, suggerito di trovare la pace attraverso Dio, il loro Dio. Ovvero espandendosi fino a comprendere tutto il genere umano. Le grandi ideologie secolari, dal liberalismo al comunismo, non sono da meno. Se Trotzky e Lenin avevano visto nell’espansione del comunismo internazionale la via alla pace tra uomini, il liberalismo ha più volte (per ultimo con la tesi della pace democratica) individuato nella diffusione di libertà e democrazia la chiave all’armonia internazionale.

Il secondo elemento, meno importante ma comunque degno di nota, riguarda il pensiero del papato che si allinea fondamentalmente con la visione secolare di Dante. La religione come guida spirituale, in un’arena politica secolare.

Infine questa soluzione, quasi esasperata, sembra riemergere sistematicamente in periodi di grande crisi sociale, culturale e politica. Sfortunatamente per le sue sorti, senza però mai portare ad alcun risultato concreto per il suo raggiungimento.