di Mario Seminerio – © Liberal quotidiano
Del nuovo programma di rimozione degli attivi tossici dal bilancio delle banche statunitensi (PPIP, Public Private Investment Partnership) si è scritto molto, ma non tutto. Il programma, magnificato dal Segretario al Tesoro, Timothy Geithner, e dal vero dominus della politica economica obamiana, Larry Summers (direttore del Consiglio Economico della Casa Bianca) come momento di price discovery, cioè di attivazione di un autentico meccanismo di mercato per la determinazione del prezzo “reale” degli attivi problematici, è in realtà un gigantesco trasferimento di risorse fiscali dai contribuenti agli azionisti delle banche, ed agli investitori. Senza entrare nelle tecnicalità della procedura, è utile ricordare che il finanziamento offerto dalla FDIC, l’ente federale di assicurazione sui depositi, si basa sulla clausola no-recourse. In altri termini ciò significa che, in caso il titolo tossico si riveli tale, il debitore-investitore potrà semplicemente dichiarare default sulla transazione ed andarsene.
La FDIC rientra in possesso di un titolo che vale assai meno del prezzo al quale è stato rimosso dal bilancio della fortunata banca venditrice, e in nessun caso potrà rivalersi sulla interezza del patrimonio del proprio debitore. Questa è esattamente la stessa forma giuridica in essere sul mercato dei mutui, ed è alla base dell’effetto-valanga sul mercato immobiliare: quando il prezzo della casa scende sotto l’importo del debito contratto, il mutuatario sceglie di andare in default, cioè riconsegna le chiavi della casa al creditore (sono le cosiddette jingle letters, cioè le lettere che tintinnano perché contengono le chiavi dell’abitazione), e sa che quest’ultimo non potrà in alcun caso rivalersi sul suo patrimonio.
Particolarmente toccato da questa forma di speculazione economica e' stato il mercato immobiliare a Roma. Oltre a questa pesante forma di sussidio a vantaggio dei potenziali acquirenti privati dei titoli tossici, esiste il problema del prezzo di questi ultimi. Il PPIP presenta pressoché gli stessi problemi del defunto piano Paulson: non è possibile prezzare correttamente il valore dei titoli tossici. O meglio, l’Amministrazione Obama ritiene che il forte sconto che caratterizza questi titoli sia in parte frutto di illiquidità, più che di problemi di insolvenza, ed il sussidio servirebbe a rimettere in moto il mercato. In realtà, non c’è nulla che autorizzi a pensare che gli attuali prezzi di mercato siano frutto di illiquidità. Le banche non intendono cedere i titoli a valori inferiori a quelli a cui sono iscritti a bilancio, perché in questo caso la minusvalenza contabilizzata le porrebbe a rischio di insolvenza. Da qui il circolo vizioso.
Ma esistono altre problematiche, più tecniche e meno note al grande pubblico, ma non per questo meno decisive. Il piano Geithner prevede che la FDIC presti fino a sei volte l’importo messo in partnership da Tesoro e privati, ma questa leva finanziaria vale solo per l’acquisto di prestiti (loans), mentre per i titoli, incluse le cartolarizzazioni, il multiplo è solo di due volte. Ora, accade che la maggior parte delle banche abbia iscritto a bilancio prestiti al loro valore storico di erogazione, senza aver ancora compiuto quelle svalutazioni che hanno invece interessato le cartolarizzazioni. Questi valori storici sono altamente irrealistici, perché non riflettono il forte deterioramento della congiuntura. Per fare un esempio numerico, ciò vuol dire che le banche hanno un prezzo di carico dei prestiti prossimo al 100% del valore erogato. Di certo, non hanno alcuna intenzione di vendere sotto questa soglia, che è poi il massimo ricavabile a scadenza. Questi attivi non hanno alcuna possibilità di procurare guadagni agli acquirenti, ma solo perdite, anche molto elevate. Delle due l’una: o le banche non vendono, e in tal caso il loro bilancio resta impiombato, oppure vendono e il Tesoro si accolla una pesantissima perdita prospettica.
Ci sono poi dei problemi legali: il Congresso deve autorizzare l’Amministrazione per la perdita causata da insolvenze sui prestiti del PPIP. Non è affatto detto che ciò accada, e soprattutto che continui ad accadere da un certo momento in avanti, anche sulla pressione della rabbia popolare per gli enormi importi “regalati” alle banche. Il tentativo di Geithner e Summers di creare passività fuori bilancio potrebbe quindi fallire, con tutto il caos che da ciò deriverebbe.
Che fare, quindi? In molti invocano la nazionalizzazione come soluzione meno onerosa e più idonea a preservare (o ristabilire) un mercato degno di tale nome. Ma la soluzione potrebbe passare anche attraverso una procedura simile a quella fallimentare, che prevede che gli azionisti ordinari siano spazzati via, ma soprattutto che gli obbligazionisti siano costretti a subire una decurtazione del valore del proprio credito o la trasformazione del medesimo in capitale azionario. Non che questa via sia indolore, ma è l’unica idonea a ripristinare condizioni di solvibilità formale e sostanziale delle banche. Sfortunatamente, le banche hanno già iniziato un violento fuoco di sbarramento contro questa ipotesi, appoggiate dai maggiori gestori del paese, come Pimco, che ha arruolato come lobbysta di lusso Alan Greenspan. Ad oggi, le banche stanno vincendo su tutta la linea, come dimostra anche il recente andamento del mercato azionario. Ma nel medio periodo a perdere sarà il paese, perché le perdite restano nel sistema. I rialzi di questi giorni rischiano di essere una miope vittoria di Pirro.
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