Europa: scoperta di un’identità o costruzione di una geopolitica

di Enzo Marongiu

Il processo di integrazione europea ha ormai superato la boa dei 50 anni, tuttavia il problema di definire l’Europa come soggetto politico rimane vivo ed irrisolto. Il dibattito sull’individuazione dei valori fondanti ha conosciuto un rinnovato interesse durante i lavori preparatori ed alla vigilia della firma del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, nel 2004. Prescindendo dalla formula di compromesso utilizzata per titolare l’Accordo, la proclamazione di una Costituzione, dotata nel preambolo di un esplicito riferimento alle “radici comuni”, avrebbe comportato il definitivo salto di qualità del processo di unificazione. Sarebbero infatti state poste le basi perché l’Europa si definisse come soggetto nuovo, munito di un’identità propria e definita, “altra” rispetta alla somma dei paesi membri.

Il Trattato-costituzione, come pure il successivo accordo di Lisbona, non è mai entrato in vigore, e lo stesso dibattito sulle radici culturali comuni europee ha progressivamente perso  l’attenzione dell’opinione pubblica; nondimeno, scelte strategiche fondamentali non potranno prescindere dal riconoscimento di un’identità comune: una politica unitaria implicherebbe infatti il sacrificio di un’ampia sfera di competenze connaturate alla sovranità statale
Il processo di unificazione europea intrapreso dopo la II guerra mondiale può essere interpretato sotto una duplice chiave di lettura: l’Europa come scoperta – o, meglio, riscoperta – di un’identità storicamente immanente (prospettiva costruttivista), o l’Europa come “costruzione artificiale” funzionale a necessità geopolitiche concrete (prospettiva materialista).

Due prospettive a confronto

La prima interpretazione mette in luce gli aspetti identitari comuni ai popoli europei: la progressiva identificazione dell’individuo con la nazione – la Patria – a partire dalla metà del 1600 avrebbe temporaneamente oscurato la coscienza degli europei di appartenere ad un’unica civiltà,  appunto “europea”. La fase di contrapposizione e scontro internazionale costituirebbe dunque solo una parentesi all’interno di una storia millenaria di sostanziale unità attorno a dei valori condivisi.  L’individuazione in concreto di suddetti valori, identificati alternativamente con quelli laici della cultura greco-latina, con quelli derivanti dall’illuminismo, o con le radici giudaico-cristiane costituirebbe dunque necessario fondamento – ed insieme una tappa evolutiva – del processo di riscoperta dell’identità comune profonda; l’integrazione politica e la susseguente devoluzione di competenze dagli Stati ad un Ente unitario superiore ne sarebbe perciò solo una conseguenza.

La visione dell’Europa unita come costruzione geopolitica parte da presupposti inversi: l’Europa non sarebbe altro che un’espressione geografica, un epicentro da cui ha avuto origine una parte eccezionalmente rilevante della storia mondiale. I numerosi tentativi di unificare forzatamente lo spazio europeo, che da Carlo Magno, passando per Carlo X, arrivano fino alle campagne napoleoniche e hitleriane, nascerebbero dalla presa di coscienza che un continente frammentato in singole entità nazionali avrebbe provocato nel lungo periodo una “retrocessione” dell’Europa da attore egemone e globale a mero “oggetto” della politica altrui. La distruzione dello spazio europeo provocato dalle tragedie del nazismo e della II guerra mondiale avrebbe reso il continente territorio di occupazione di potenze extraeuropee: Stati Uniti ed Unione Sovietica. La CE e la successiva UE rappresenterebbero dunque una risposta razionale alla necessità storica di rendere l’Europa un soggetto geopolitico nuovo a livello globale, per perseguire fini economici e politici che gli Stati membri, singolarmente considerati, non sarebbero in grado di conseguire.

L’origine dell’identità politica

L’identità degli stati, non si sviluppa in un vuoto pneumatico, bensì attraverso le relazioni con gli altri soggetti della società internazionale, vale a dire tramite la differenziazione – ma non necessariamente la contrapposizione – del “sé” rispetto ad un “altro”. La sfera relazionale che si determina può essere classificata secondo una tripartizione logica in cui il “sé” identifica l’altro come “amico”, “rivale” o “nemico” (Wendt, 1999). In modo più sistematico, è stato definito uno “spettro dell’identità” degli Stati nei termini di ostilità (l’Altro come anti-Sé), rivalità (l’Altro come avversario), indifferenza, coesione (nel senso di bene comune o identità di gruppo), altruismo (la disponibilità a sacrificare Sé per l’Altro) e simbiosi (ove si dissolve la distinzione tra Sé e Altro).

Storicamente, gli Stati nazionali hanno formato la propria identità in opposizione a soggetti stranieri, o percepiti come tali dalla comunità territoriale.

Il processo di unificazione europea – inteso come processo cosciente e attivo volto a far emergere l’Europa come soggetto effettivo ed indipendente – ha invece caratteristiche uniche e peculiari: l’identità europea non nascerebbe infatti in contrapposizione a soggetti terzi bensì come superamento del proprio passato (Weaver, 1997). “Altro”, rispetto all’Europa “unita”, sarebbe l’Europa del passato: l’unificazione nasce e si rafforza infatti attraverso il ricordo delle tragedie del mezzo secolo precedente. Tutto il sistema Westfaliano avrebbe generato la progressiva frammentazione dell’Europa in entità ristrette e particolaristiche a livello statale o regionale, sulla base del “principio nazionale”; i due conflitti globali rappresenterebbero in questo senso vere e proprie “guerre civili europee”, che hanno portato alla distruzione dello “spazio politico europeo” (questa prospettiva, che trova le sue formulazioni iniziali in Grozio, sarebbe poi stata successivamente approfondita da Voltaire, nella sua concezione dell’Europa come di una Grand République, e attualmente viene fatta propria principalmente dal costruttivismo di matrice europea).

Tuttavia, le radici dell’identità europea, non sarebbero mai del tutto scomparse; la “rinascita” dell’Europa passerebbe dunque necessariamente per la riscoperta di queste radici. Di fronte all’eredità di una cultura comune, sviluppata in un arco di tempo millenario, la fase dei nazionalismi – e dell’oblio dell’Europa dalla storia – costituirebbe solo una parentesi sanguinosa, di durata inferiore ai quattro secoli. L’Europa unita, la “Nuova Europa”, potrebbe dunque risorgere dalle proprie ceneri solo riappropriandosi dell’identità che sotto queste ha sempre covato.

La forza come fonte dell’identità

Secondo una diversa chiave di lettura, non esisterebbe alcuna identità comune europea: l’Unione europea sarebbe soltanto frutto di una costruzione artificiale, sviluppata al fine di rispondere ad esigenze geopolitiche concrete che i singoli Stati non sarebbero da soli in grado di  perseguire (questa visione trova le sue origini nei lavori di Hegel e Fighte, sarebbe poi stata sviluppata successivamente da Carl Schmitt e trova nel realismo contemporaneo i suoi alfieri. Tra i lavori più recenti, si veda Posen, 2006).

La II guerra mondiale segna la distruzione dello spazio geopolitico europeo: il tentativo nazi-fascista di conquistare l’egemonia al contempo sulla massa continentale con l’esercito, sui mari con i sottomarini e nell’aria con l’innovativo utilizzo dell’aviazione, nonché di imporre un nuovo ordine geopolitico, fallisce e porta al “suicidio dell’Europa”. La debellatio del III Reich, che non si arrende alla sconfitta, porta alla penetrazione del cuore dell’Europa di due potenze extraeuropee, Stati Uniti e Unione Sovietica, le quali impongono il proprio ordine sul “vecchio continente”, primo scenario in cui si verifica della stabilità dell’equilibrio bipolare.

Già dalle fasi immediatamente successive al conflitto si comprende la necessità storica di una riunificazione dell’Europa, uscita dal novero dei protagonisti della storia e divenuta mero “oggetto” della politica altrui.

Così, l’integrazione si è sviluppata progressivamente sotto il profilo economico, di giustizia e affari interni, di cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, e solo in maniera molto parziale, sono stati delineati i principi per una politica estera e di sicurezza comune – non a caso, ciò è avvenuto a partire dalla fine della Guerra Fredda, quando, con il crollo dell’URSS, l’Europa ha parzialmente avuto maggiore spazio per la sua azione politica.

Il significato di un’Europa unita

Una completa integrazione politica a livello europeo avrebbe implicazioni radicali anche sotto il profilo della soggettività internazionale – ad oggi, nonostante alcuni profili di originalità, la natura giuridica dell’UE sembra ricollegabile a quella delle “tradizionale” organizzazioni internazionali; essa presupporrebbe tuttavia il riconoscimento o la “costruzione” di un’identità comune: una politica unitaria implicherebbe infatti il sacrificio di un’ampia sfera di competenze connaturate alla sovranità statale.

Ritorna dunque il quesito di partenza: qual’è l’identità europea? E, se l’attuale Europa ne è ancora priva, su quali basi quest’identità potrà svilupparsi?

Pare impossibile individuare in un passato più o meno remoto le “radici comuni” ai 27 stati membri: qualunque tentativo di ricondurne culture e tradizioni a un’unica fonte risulterebbe infatti un artificio, una forzatura e, in qualche misura, una distorsione dell’idea stessa dell’unità europea, costruita sulle diversità.

Per parlare di “costruzione di un’identità europea, si pone d’altra parte necessaria una distinzione tra breve e lungo periodo: nel breve periodo l’adozione di politiche comuni, il riavvicinamento delle normative nazionali, specialmente in materie “eticamente sensibili”, e la proclamazione di principi condivisi – come quelli in materia di diritti umani indicati nella Carta di Nizza – costituiscono tutti mezzi utili al fine di far emergere il “nocciolo duro” di una “coscienza comune europea”. Tuttavia, i compromessi e gli equilibrismi politici da cui genera la normativa europea costituiscono il limite stesso alla nascita di un’identità realmente unica e condivisa.

Un’identità comune non potrà dunque che svilupparsi attraverso una storia e degli obiettivi comuni, e dunque solo in una prospettiva di lungo periodo. Il più forte fattore unificante dei popoli è storicamente rappresentato dalla guerra contro un nemico comune, guerra che l’Europa, almeno a parole, ripudia. Le radici degli Stati si sono alimentate del sangue dei popoli. In assenza di questo nutrimento, potrà il rifiuto del proprio passato costituire una base sufficiente per il proprio futuro? Nella risposta a questa domanda si nasconde gran parte del futuro europeo.

* * *

* Enzo Marongiu (1981, Sassari)  si è laureato con lode in giurisprudenza presso l’Università di Sassari. Si è specializzato in Relazioni internazionali presso la SIOI di Roma e, in seguito, ha intrapreso la preparazione per il concorso diplomatico, superato a fine 2008. Al momento, è in attesa di prendere servizio come segretario di legazione in prova presso la Farnesina.


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