di Mario Seminerio – © Libero Mercato
La scorsa settimana, durante le audizioni semestrali davanti al Banking Committee del Congresso, il presidente della Fed, Ben Bernanke ha brevemente parlato del tema della “speculazione” sul mercato petrolifero e più in generale delle materie prime. E’ opportuno riprodurre integralmente quel passaggio:
“Un altro timore che è stato sollevato è che la speculazione finanziaria possa aver significativamente contribuito alle pressioni rialziste sui prezzi del petrolio. Sicuramente, l’interesse degli investitori per il petrolio ed altre materie prime è di recente aumentato sostanzialmente. Tuttavia, se la speculazione finanziaria stesse spingendo i prezzi del petrolio sopra livelli consistenti con i fondamentali di domanda e offerta ci aspetteremmo, al crescere dell’offerta ed al diminuire della domanda, un aumento delle scorte di greggio ed altri prodotti petroliferi. Ma, in realtà, i dati disponibili sulle scorte petrolifere mostrano considerevoli cali nel corso dell’ultimo anno. Ciò non vuol dire che utili passi non possano essere compiuti per migliorare la trasparenza ed il funzionamento dei mercati futures, solo è improbabile che tali passi possano significativamente influire sui prezzi di petrolio ed altre materie prime nel lungo periodo.”
Questa è la definizione “operativa “ di speculazione fornita da un economista, ma che poggia su basi di buonsenso difficilmente confutabili.
Secondo alcuni osservatori il mancato incremento delle scorte “visibili” ed ufficiali non rappresenterebbe prova definitiva dell’assenza di speculazione, potendo i paesi produttori aver deciso di lasciare le scorte nel sottosuolo, cioè rallentare deliberatamente l’estrazione. Interpretazione machiavellica, che tuttavia si scontra con una realtà degli ultimi anni fatta di stazionarietà o addirittura lieve flessione della produzione in molti paesi, come testimoniato dalla recente presa di posizione del primo ministro ed ex presidente russo Vladimir Putin, che ha espresso tutta la propria preoccupazione per il calo di produzione dello 0,3 per cento registrato dalla Russia nel primo trimestre di quest’anno. Che si tratti di Peak Oil fisico, relativo cioè all’effettivo esaurimento dei giacimenti petroliferi, o di carenza di investimenti e tecnologia per aumentare la produzione, le statistiche mostrano una inequivocabile compressione della cosiddetta “spare capacity”, la capacità di riserva del sistema petrolifero mondiale, data dalla differenza tra offerta e domanda. Ed è proprio questa riduzione di capacità di riserva che ha contribuito a determinare il forte aumento di prezzi registrato nell’ultimo anno. Affermare, come alcuni fanno, che l’andamento dei prezzi non sarebbe giustificato dal profilo sostanzialmente costante della produzione significa non comprendere come funzionano i mercati, e soprattutto le aspettative. Le curve di offerta e domanda di energia, nel breve periodo, sono notoriamente inelastiche, cioè ripide. Alla loro inclinazione concorre la misura della capacità di riserva. La riduzione di tale capacità a valori prossimi a zero provoca un ulteriore irripidimento della curva di offerta, anche di quella di lungo periodo che invece dovrebbe essere tradizionalmente più elastica. Da questa semplificata descrizione dovrebbe risultare più comprensibile l’andamento esplosivo dei prezzi negli ultimi mesi.
E veniamo al tema che sta assorbendo parte del dibattito politico, italiano ed internazionale: la speculazione. Per iniziare, un problema definitorio: cosa è, esattamente, “speculazione”? Con tale termine, a nostro giudizio, deve essere definita l’attività di manipolazione dei prezzi avente scarsa o nulla relazione con i fondamentali di un mercato, attraverso l’utilizzo di tecniche che gli anglosassoni definiscono in modo immaginifico “cornering” e “squeezing”. Con esse, il mercato viene letteralmente “messo all’angolo” e “spremuto”, e ciò si verifica quando pochi operatori dominanti sono in grado di concentrare nelle proprie mani una quota determinante del volume di scambi su un dato bene. E’ quanto accaduto a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta sul mercato future dell’argento, quando i fratelli Hunt riuscirono a far quintuplicare il prezzo del metallo prezioso; o ancora attraverso l’attività di un trader della giapponese Sumitomo sul mercato del rame, nel decennio 1986-1996, prima dell’intervento repressivo del regolatore; intervento che si è verificato anche nel 2006, quando la Commodities and Futures Trading Commission (CFTC), il regolatore delle borse-merci a termine statunitensi, pose fine all’accaparramento da parte dei britannici di BP sul mercato future del propano. Tutte queste tecniche di incetta (descritte mirabilmente per il grande pubblico nel 1983 dal film comico “Una poltrona per due”, con Eddie Murphy e Dan Aykroyd) mostrano tuttavia sempre minore efficacia, per l’imponente sviluppo dei mercati e soprattutto per la circolazione sempre più pervasiva delle informazioni, che mette rapidamente a nudo l’intento degli accaparratori. Tornando ai nostri giorni la stessa CFTC ha svolto di recente un’indagine, scoprendo che non vi sono evidenze di manipolazione del mercato americano dei futures petroliferi, nel senso che non sono stati individuati comportamenti collusivi degli operatori volti a spingere i prezzi al rialzo. La tesi della speculazione finanziaria come determinante del prezzo delle materie prime, agendo sui mercati futures è poi contraddetta dalle notizie sull’accordo che le acciaierie cinesi hanno raggiunto in giugno con la compagnia mineraria anglo-australiana Rio Tinto per la fornitura annuale di minerale di ferro a prezzi maggiorati in media dell’85 per cento sull’anno precedente, con punte fino al 96,5 per cento. Nel 2007 la fornitura annuale aveva registrato incrementi medi di prezzo del 9,5 per cento sull’anno precedente. Tali accordi di fornitura sono tipicamente bilaterali, ed avvengono in assenza di mercati a termine. Niente futures, solo consegna fisica del sottostante. Pur trattandosi di mercati lungi dall’essere modelli di concorrenza perfetta “alla Adam Smith” resta comunque assai difficile, in simili circostanze, sostenere la tesi del controllo speculativo delle materie prime.
Anche la marcata flessione delle quotazioni di petrolio e gas naturale della scorsa settimana è avvenuta attraverso una dinamica che difficilmente può essere ricondotta alla speculazione intesa come manipolazione del mercato: in entrambi i casi, l’annuncio di scorte superiori alle attese ha innescato robusti flussi di vendita. Nel caso del gas naturale, poi, l’incremento degli stock è avvenuto in un contesto di ampliamento della capacità di riserva: nel primo quadrimestre di quest’anno la produzione di gas naturale è infatti cresciuta dell’8,6 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, doppiando l’incremento dei consumi, pari al 4,3 per cento annuale. Ancora una volta, quindi, il mercato appare profondamente reattivo a dati che mostrano variazioni della capacità di riserva, ogni qualvolta tale capacità si approssima al livello zero o si allontana da esso, come razionalmente ci si attenderebbe. Ciò significa che la base del movimento è fondamentale, indotta da domanda e offerta reali. Su cui si innestano forti scommesse degli investitori. Ecco perché ci sentiamo di condividere la tesi di Bernanke.
Se speculare significa manipolare l’andamento dei mercati aldilà della fondamentale interazione tra domanda e offerta, allora quello delle materie prime non è un mercato controllato dalla speculazione. Se speculare significa invece scrutare il futuro e scommettere su di esso, oggi sul pianeta non esiste mercato migliore per speculare di quello delle materie prime: persistente minaccia di guerre in Medio Oriente, uragani, domanda dei paesi emergenti, rischio Peak Oil: c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma questa accezione di speculazione è evidentemente molto diversa da quella a cui ricorrono i politici. Compito del regolatore deve essere quello di assicurare ordinate condizioni macroeconomiche, in un’ottica di sistema globale (come correttamente indicato nei giorni scorsi da Mario Draghi), prevenendo lo sviluppo di bolle di liquidità, e di mantenere mercati finanziari trasparenti e funzionanti. Tutto il resto sono suggestive immagini bibliche, lo “sciame di locuste” che devastano i nostri portafogli, che dietro la retorica populistica celano sostanziale impotenza operativa. Proprio ciò che i manipolatori (quelli veri) desiderano.
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