Sgonfiare la bolla energetica

di Mario Seminerio© Libero Mercato*

Il vertice dei ministri delle Finanze del G8, tenutosi a Osaka nei giorni scorsi, ha prodotto un comunicato denso di abituale buonsenso, ma privo di indicazioni immediatamente operative. La cosa non desta eccessiva sorpresa: a parte interventi diretti sui mercati valutari, o forte moral suasion con minaccia d’intervento sui medesimi, i vertici finanziari del G8 sono soprattutto mirati ad individuare i problemi e a stabilire un’agenda da sviluppare al riparo dal palcoscenico mediatico. Del comunicato di Osaka ci pare interessante soprattutto il punto 6, relativo ai prezzi delle materie prime.

In esso si esprime forte preoccupazione per la rapida ascesa dei prezzi petroliferi ed il loro impatto sulle condizioni globali macroeconomiche e di welfare. Nel comunicato si evidenziano tutte le potenziali concause di tale rialzo, dal versante della domanda e dell’offerta reale, ma anche da quello finanziario. Riguardo la domanda, si incoraggia l’adozione di misure di efficienza energetica attraverso la diversificazione, circostanza resa teoricamente possibile dagli elevati prezzi petroliferi. Ma proprio per questo motivo viene richiesta la graduale soppressione dei sussidi al consumo nei paesi emergenti, perché distorcono il valore segnaletico dei prezzi ed hanno ricadute globali, e si suggerisce correttamente la sostituzione dei sussidi ai prodotti energetici con erogazioni a sostegno del reddito degli strati più poveri della popolazione. In tal modo si cerca di contenere l’ascesa della domanda, mentre da quello dell’offerta il comunicato sollecita i paesi produttori a migliorare le tecniche di esplorazione ed estrazione, aprendosi alla expertise delle compagnie petrolifere globali. Interessante suggerimento, anche se dubitiamo sarà preso in considerazione da regimi autarchici ed ostili all’Occidente come l’Iran, che non a caso sta puntando sul nucleare anche per preservare la propria capacità di export petrolifero. Maggiore successo tale “consiglio” potrà riscuotere presso le monarchie del Golfo, nei confronti delle quali gli Stati Uniti riescono ancora ad esercitare una moral suasion relativamente efficace.

Il punto più interessante è tuttavia rappresentato dalla gestione degli aspetti finanziari del boom dei prezzi petroliferi. Il G8 chiede al Fondo Monetario Internazionale ed all’Agenzia Internazionale per l’Energia di lavorare congiuntamente all’analisi delle cause reali e finanziarie dell’ascesa dei prezzi. Gli Stati Uniti non hanno accettato l’utilizzo nel comunicato del termine “speculazione”, e possiamo in parte comprenderne la motivazione. Contrariamente al significato negativo che (soprattutto in Europa) si tende ad attribuire a tale termine, la speculazione esercita un ruolo fondamentale nella stabilizzazione dei mercati e nella fornitura di liquidità ai medesimi. Nella tradizione di mercato anglosassone, quindi, lo speculatore non è colui che agisce in penombra cospirando contro l’umanità, ma è un agente economico con un ruolo preciso ed insostituibile. Ma, al di là delle dispute nominalistiche e filosofiche di mercato, il G8 (ed i paesi produttori, con motivazioni differenti) si interroga su quanta parte del rialzo sia attribuibile alla componente reale di domanda, e quanta a quella finanziaria. Nessun modello econometrico, per quanto sofisticato, ci fornirà una risposta attendibile: siamo quindi costretti ad agire in modo “differenziale” per isolare le singole componenti, quantificandone l’impatto.

Riguardo la domanda finanziaria il ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, ha chiesto alle borse-merci ed ai rispettivi regolatori di alzare i margini iniziali sui contratti futures speculativi. Come abbiamo segnalato in passato (Libero Mercato del 13 maggio 2008, “Caro petrolio, dai mercati regole comuni contro la speculazione”), oggi è in corso un braccio di ferro tra regolatori: da un lato la statunitense Commodities Futures and Trading Commission (CFTC), dall’altro la britannica Financial Services Autorithy (FSA). Gli americani (che generano circa il 75 per cento degli scambi mondiali sul greggio West Texas Intermediate), stanno cercando di estendere anche al mercato londinese (ICE, International Commodities Exchange, che ha il restante 25 per cento sul contratto del WTI) l’omogeneità delle regole di trading (quali limiti alle variazioni giornaliere dei prezzi dei contratti ed alla concentrazione di posizioni in capo a singoli operatori), per impedire distorsioni nella formazione dei prezzi. In questo braccio di ferro si rintraccia il tradizionale trade-off tra innovazione e regolazione. L’eccesso di regolazione non imbriglia i mercati, che finiscono col spostarsi su piazze offshore tradizionalmente meno trasparenti. La proposta di Tremonti, pur comprensibile nelle motivazioni, rischia di non poter trovare accoglimento, proprio perché occorrerebbe una regolazione standardizzata su base planetaria delle modalità di negoziazione del greggio sulle borse futures. Ammesso e non concesso che agire sui margini iniziali non danneggi l’intero mercato, inclusi gli operatori commerciali, ormai sempre meno distinguibili dalla componente finanziaria della domanda rappresentata dalle banche d’investimento.

E mentre la polemica tra borse e regolatori prosegue, alcuni analisti hanno avanzato un suggerimento spregiudicato. Se ipotizziamo l’esistenza di una bolla e non riusciamo a procurarci uno spillone per farla scoppiare ricorrendo alla regolazione dei mercati, proviamo con un soggetto pubblico, si argomenta. E chi meglio della Riserva Strategica Petrolifera statunitense (Strategic Petroleum Reserve, SPR) potrebbe assolvere a tale funzione? Secondo questo piano d’intervento la SPR dovrebbe avviare delle massicce vendite a termine, comunicando che andrà in consegna fisica del sottostante, cioè materialmente del greggio. I compratori a termine di natura finanziaria, che non hanno alcuna intenzione di accettare la consegna fisica del petrolio verrebbero così spiazzati, la loro componente di domanda sparirebbe ed i prezzi scenderebbero. Tutto molto lineare. Ma se i prezzi fossero effettivamente la risultante di condizioni reali di domanda ed offerta, al momento della loro discesa alcuni operatori si farebbero avanti, anche costituendo capacità di stoccaggio fisico, ed il raffreddamento dei prezzi sarebbe solo transitorio. Non solo, ma la SPR, che ha agito da arbitraggista di ultima istanza, sarebbe costretta a ricostituire a prezzi crescenti i livelli di scorte, contabilizzando una perdita. E’ una scommessa che sconfina nel gioco d’azzardo, ma per alcuni sarebbe preferibile ad una regolazione maldestra, che produrrebbe guasti molto più estesi.

Vi è quindi una pluralità di leve sulle quali agire per tentare di calmierare i prezzi dell’energia, pur con la consapevolezza che interventi strutturali richiedono tempo. Potendo scegliere, noi preferiremmo l’eliminazione delle distorsioni al valore segnaletico dei prezzi (rimuovendo i sussidi e riconvertendoli in erogazioni dirette alle fasce povere della popolazione) ed una politica monetaria più rigorosa e meno incline a produrre tassi reali negativi. Ma se agli Stati Uniti è rimasta sufficiente dotazione di moral suasion nei confronti del resto del mondo, forse è ora di mettervi mano.

* (Titolo originale “Per sgonfiare la bolla energetica non c’è bisogno di più regole ma di meno sussidi”)


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