Rassegna Epistemica – Ordine Internazionale

a cura di Andrea Gilli

Nel corso dell’ultima settimana, su Epistemes ci siamo impegnati ad analizzare brevemente il futuro della politica estera italiana. Alla prima analisi, è seguito un pezzo particolarmente perspicace di Carmelo Palma, dei Riformatori Liberali.

Alla replica di Palma è poi seguita una dovuta controreplica (tutto il dibattito è stato efficacemente riassunto sul sito dei Riformatori Liberali). In questa sede, ci interessa soprattutto approfondire uno dei più più importanti punti della discussione – il futuro dell’ordine mondiale, e in particolare i fattori che lo influenzeranno maggiormente.

Negli articoli menzionati, venivano citati gli essenziali testi di Mearsheimer, Waltz e Layne, sul futuro della politica internazionale dopo la fine della Guerra Fredda. La tesi dei tre autori è che la politica internazionale sia sempre uguale a se stessa, e pertanto sia dettata dalle ferree leggi della Politica di Potenza. In breve, la fase di supremazia americana verrà presto portata a termine per via della nascita di un’altra (o altre) grande potenza, e così via. Si noti che, poiché l’articolo di Layne richiede un abbonamento a Jstor, può essere più utile leggere una versione aggiornata del suo pezzo, apparsa a fine 2006.

E’ importante sottolineare, innanzitutto, che questa tesi si oppone a quella secondo la quale l’era americana proseguirà indisturbata negli anni a venire. Il primo ad avanzare questa tesi è stato Charles Krauthammer, nel 1991. Tale tesi è poi stata riproposta, e aggiornata, dallo stesso Krauthammer (2002). Va però detto è stato William C. Wohlforth a presentarla in maniera rigorosa e falsificabile (1999). La parte più “divertente” è che Wohlforth, un realista, spiega in termini realisti le ragioni del proseguimento della fase unipolare delle relazioni internazionali (ciò spiega, forse, perché in fin dei conti, dal punto di vista metodologico, epistemologico e ontologico, i famosi neoconservatori non sarebbero altro che dei realisti, con assunti leggermente diversi).

A queste analisi, che guardano agli Stati come ai principali attori della politica internazionale, si oppongono ovviamente altri studi, per i quali invece la politica internazionale dei prossimi anni sarà sempre meno dettata dalle decisioni delle entità statali – in linea dunque con quanto sosteneva Palma nella sua replica. Sempre Wohlforth, per esempio, ha scritto, insieme a Stephen G. Brooks, un interessante articolo sulla fine della Guerra Fredda nel quale si rileva l’importanza della globalizzazione (2000/01). Nell’articolo in risposta a Palma si citavano le tesi iper-liberiste di Kenichi Ohmae. In una direzione simile va il best-seller di Thomas L. Friedman, The World is Flat, secondo il quale la globalizzazione sarà costretta a dominare non solo l’economia ma anche la politica mondiale.

E’ singolare che a tali conclusione sembri giungere Richard N. Haas, presidente del Council on Foreign Relations, nel suo recente articolo pubblicato su Foreign Affairs. La tesi di Haas è che la globalizzazione, insieme alla nascita di altri attori transnazionali (organizzazioni internazionali, cultura cosmopolita, etc.) starebbe de-polarizzando il mondo. In altre parole, di fronte ai diversi centri di potere politico, economico e culturale, il potere degli Stati Uniti si starebbe riducendo drammaticamente. Ciò, avverte Haas, non è però un dato negativo – in quanto questo processo porterebbe sì nuove sfide, ma anche nettamente meno pericolose di quelle passate. Per esempio il rischio di guerre tra Grandi Potenze sarebbe scomparso. Va notato come la tesi si incastri perfettamente nel filone delle teorie liberali e istituzionaliste, di cui il testo Power and Interdependence di Robert O. Keohane e Joseph S. Nye Jr è una delle pietre miliari.

E’ interessante rilevare come a questa prospettiva de-centralizzata giunga anche un altro volume, nel quale però si sostiene che questa de-centralizzazione permetterebbe al vero potere di mantenersi e perpetrarsi. Il potere sarebbe il capitalismo. Il testo è Empire di Michael Hardt e Antonio Negri (2001).

Prima di concludere, è probabilmente opportuno citare alcuni studi che, se come Haas riconoscono l’importanza dei nuovi fenomeni transnazionali, dall’altra parte sono tutt’altro che ottimisti nelle loro conclusioni. Un primo articolo è quello pubblicato da Jerry Z. Muller, sempre sulla rivista Foreign Affairs. La tesi centrale è che gli anni futuri saranno sempre più dominati da scontri etnici e nazionalistici. Una tesi non molto diversa da quella, ricordata nell’articolo in risposta a Palma, formulata da Samuel P. Huntington nel suo famoso saggio sullo scontro di civiltà.

Dana Allin, direttore della rivista dell’IISS Survival, sposa in parte la tesi di Haas, anche se da una visuale ben più pessimista. In particolare, secondo Allin, la minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici, e ancora di più dalla povertà sarebbe particolarmente insidiosa (2008). Nello stesso numero della rivista, che così compie i suoi cinquant’anni, Michael Howard, presidente dello stesso IISS e celeberrimo storico militare offre una testimonianza particolarmente utile per guardare alla politica internazionale di ieri, oggi e domani (2008).

Gli spunti di Allin sono in parte “raccolti” da Herald Muller, sul The Washington Quarterly, che ragiona sulle armi nucleari in un mondo interdipendente, e da John Podesta, che invece parla dei cambiamenti climatici e di quanto essi influenzeranno il futuro del mondo nei prossimi decenni.

Gli ultimi spunti arrivano dal centro studi della società Accenture, che guarda alle implicazioni di un mondo economicamente multipolare. Cosa significa cioè, per le aziende, poter disporre di più grandi mercati sui quali concentrarsi. La risposta arriva in due ottime pubblicazioni, appunto sul mondo economico multipolare. Accenture guarda ai problemi di organizzazione, strategia aziendale e finanza. Le implicazioni che possiamo trarre sono però, forse un po’ più vaste. Per quanto ciò possa non piacere, infatti, cambiamenti del quadro economico hanno importanti conseguenze politiche. La Cina oggi è soggetta ad un embargo contro la vendita di armi. E’ evidente però che, con la sua crescita economica, alcune aziende nel campo della difesa possano decidere di perdere il mercato americano per guadagnare quello cinese. Terrence E. Guay non giunge a queste conclusioni, ma esamina proprio l’industria della difesa in un’ecomonia globalizzata. Il Defence Industrial Initiative Group si focalizza sulle implicazione sull’industria aerospaziale.

Insomma, la globalizzazione e il terrorismo staranno anche rafforzando dei centri non-statuali. In ultima analisi, però, esse colpiscono alcuni Stati e ne favoriscono altri.

Buona lettura, ag.


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