di Mario Seminerio – © Libero Mercato
I dati diffusi nei giorni scorsi dall’Istat su stime del prodotto interno lordo ed indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche per l’anno 2007 ci permettono di analizzare nei dettagli alcune dinamiche economiche e di gestione dei conti pubblici, oltre che di confutare alcuni luoghi comuni piuttosto radicati. Riguardo la crescita, lo scorso anno il pil è cresciuto del 3,8 per cento a valore nominale e dell’1,5 per cento reale (utilizzando il metodo chain weighted con anno-base il 2000), contro l’1,8 per cento (rivisto al ribasso) dell’anno 2006. Il raffronto con il 2006 è interessante soprattutto in termini di contributi alla crescita.
Ad esempio, nel 2007 i consumi finali delle famiglie hanno fornito oltre la metà della crescita totale (lo 0,8 per cento), mentre nel 2006 tale contributo era stato solo di un terzo (lo 0,6 per cento su una crescita dell’1,8 per cento). Diminuisce il contributo degli investimenti fissi lordi (lo 0,3 per cento, contro lo 0,5 per cento del 2006). Il contributo delle scorte alla crescita è stato nullo nel 2007, mentre nel 2006 era stato positivo per ben lo 0,5 per cento. Ciò significa che lo scorso anno le imprese hanno staccato il piede dall’acceleratore della produzione, attingendo al magazzino per far fronte ad una domanda in via di indebolimento. Di tale ipotesi vi è corrispondenza anche nella composizione degli investimenti: quelli in costruzioni sono cresciuti del 2,6 per cento, ma quelli in macchinari ed impianti hanno registrato una flessione dello 0,3 per cento. Stabile il contributo alla crescita reale fornito dal commercio estero, a più 0,1 per cento, grazie ad una dinamica dell’export favorita anche da un inopinato miglioramento delle nostre ragioni di scambio, visto che l’Istat segnala che i prezzi all’esportazione sono cresciuti più di quelli all’importazione.
Anche nel 2007 l’occupazione ha continuato ad espandersi: in termini di unità equivalenti, che considerano cioè (rettificandolo opportunamente) anche il contributo dei part-timers, l’incremento è stato dell’1 per cento. Positivo anche l’andamento delle retribuzioni lorde, cresciute del 3,6 per cento nominale. Da questi dati di sintesi si evince che l’economia italiana, nel 2007, ha potuto contare sui consumi delle famiglie come motore principale della propria crescita. Attenzione: dicendo ciò non affermiamo che gli italiani stiano meglio. Nei consumi finali delle famiglie figurano voci di spesa incomprimibile e non discrezionale, per sostenere la quale gli italiani avrebbero potuto essere costretti ad utilizzare risparmi e/o indebitamento. Per valutare le reali condizioni finanziarie delle famiglie italiane occorre il dato sul reddito disponibile dopo le imposte, che non è oggetto di questa analisi consuntiva dell’Istat.
Altrettanto interessante la radiografia della finanza pubblica. Acquisito il miglioramento del saldo primario (cioè indebitamento al netto della spesa per interessi), pari al 3,1 per cento nel 2007 contro l’1,3 per cento del 2006 e lo 0,3 per cento del 2005, si rileva che le uscite correnti sono aumentate del 4,5 per cento, ed anche la loro incidenza sul pil è cresciuta dal 44,3 al 44,6 per cento. A tali spese ha contribuito il forte aumento della spesa per interessi, cresciuta del 12,4 per cento sul 2006, causata dalla dinamica internazionale dei tassi (nel 2007 la Bce ha significativamente stretto la propria politica monetaria). Più interessante la lettura della spesa in conto capitale, che appare complessivamente diminuita del 7,5 per cento. Ma tale dato va opportunamente disaggregato: si scopre così che le componenti riferite alle spese per investimenti e contributi in conto capitale sono cresciute (rispettivamente del 3,9 e dell’11,1 per cento), mentre sono crollate del 55 per cento le “altre voci”, per effetto della forte riduzione nella contabilizzazione dei rimborsi Iva sulle auto aziendali e della soppressione dell’obbligo di anticipazione da parte dei concessionari alla riscossione. In sostanza, e per esigenze di correttezza, occorre quindi rettificare l’impressione di un governo Prodi che abbia dilatato la spesa corrente a detrimento di quella per investimenti. Analogamente, il rallentamento nella dinamica dei costi per personale ed acquisti è stato vanificato dalla spesa per interessi. Un motivo in più per abbattere significativamente lo stock di debito con dismissioni e privatizzazioni, da attuare contestualmente alla “messa in sicurezza” dei meccanismi di spesa.
Il 2007 ha visto anche un rallentamento nella dinamica dei redditi da lavoro corrisposti ai dipendenti pubblici, cresciuti nell’anno di solo l’1,1 per cento, dal 4,1 per cento del 2006, per il gioco dell’effetto-confronto sui rinnovi contrattuali di alcune categorie di lavoratori statali nel biennio. Nel complesso, e malgrado un aumento dei consumi intermedi, la spesa per consumi finali delle Pubbliche Amministrazioni ha rallentato, crescendo dell’1,6 per cento contro il 2,8 per cento del 2006. In robusto aumento, per effetto della riforma della disciplina degli assegni familiari, dell’aumento delle pensioni minime e dell’assegno una tantum agli incapienti, le prestazioni sociali in denaro.
E veniamo al “mistero” dell’aumento della pressione fiscale e contributiva, al 43,3 per cento dal 42,1 del 2006. Mistero perché l’aumento è risultato ben superiore alla crescita del pil nominale, circostanza che ha permesso a Visco, Padoa Schioppa e Prodi di affermare che tale risultato sarebbe frutto della maggior compliance fiscale degli italiani, consapevoli della fine definitiva della stagione dei condoni e del maggior rigore dell’Agenzia delle Entrate. Una bella leggenda metropolitana. Le imposte dirette sono aumentate del 9,5 per cento soprattutto grazie al boom del gettito Ires, a sua volta frutto del recupero di redditività aziendale ma anche dell’ampliamento delle basi imponibili. Più esile l’incremento delle imposte indirette, al 2,6 per cento. Ma il vero tesoretto (rigorosamente fittizio) è quello legato alla crescita dell’8 per cento nei contributi sociali. Anche questa voce entra nel computo della pressione fiscale, ed è stata gonfiata dall’aumento dei contributi di lavoratori dipendenti e (soprattutto) dei parasubordinati, nonché del trasferimento all’Inps del tfr dei lavoratori che hanno rifiutato di aderire alla previdenza complementare nelle imprese con oltre 50 dipendenti. Una volta depurato il dato di pressione fiscale e contributiva da componenti cicliche (l’incremento di gettito Ires) e da incrementi contributivi (che sono un debito futuro, e non introiti correnti), risulta piuttosto difficile parlare di aumento “strutturale” di gettito.
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Update: Istat risponde a Visco, e ci conferma che per cassa c’è un tesoretto di 5,5 miliardi da contributi, il tfr girato all’Inps. Speriamo non lo spendano.
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