Tagli alla Difesa? No, non siamo crocerossine

di Andrea Gilli – © Libero Mercato

Su Libero Mercato del 21 febbraio, Mario Unnia ha avanzato la proposta di ridimensionare drasticamente le spese per la Difesa. La tesi si reggerebbe su tre elementi. In primo luogo, il nostro esercito non svolgerebbe il ruolo tipico di un esercito (anziché combattere, esso sarebbe prevalentemente impegnato in compiti di polizia internazionale, come il controllo dei flussi migratori clandestini). In secondo luogo, in seguito ad una riduzione dei nostri effettivi, la nostra industria della Difesa non verrebbe penalizzata. Infine, ridimensionando l’esercito potremmo rafforzare le nostre forze di polizia (di cui c’è un gran bisogno), da una parte, e magari specializzarci nell’assistenza umanitaria, dall’altra – per assolvere i nostri compiti internazionali.

Chi scrive ritiene che detta proposta sia assolutamente fuori luogo. I tre pilastri su cui essa si regge sono infatti deboli e traballanti. Ma soprattutto, le implicazioni sono ben più grandi e drammatiche di quelle che l’autore sembra realizzare.

Innanzitutto va ribaltata l’affermazione secondo la quale il nostro esercito svolgerebbe “attività che si addicono alla Croce Rossa”. Al momento, il nostro Paese è impegnato in 27 operazioni militari internazionali dal Congo all’Albania dal Kosovo all’Afghanistan. Si possono sollevare dei dubbi sull’utilità di queste missioni – cosa legittima – ma è altresì evidente che esse non potrebbero essere svolte da semplici crocerossine. E’ anche importante sottolineare che queste missioni servono, in molti casi (ancorché non tutti) alla sicurezza e alla stabilità internazionale o ad accrescere il ruolo internazionale del nostro Paese.

L’affermazione in base alla quale senza un esercito di adeguate dimensioni la nostra industria della Difesa potrebbe lo stesso prosperare è tutta da verificare. Nell’articolo si cita il caso della Svizzera, che produrrebbe armi, senza però disporre di questo esercito mastodontico. L’esempio è senz’altro interessante, bisogna però capire se l’Italia si vuole paragonare alla Svizzera, Paese piccolo e neutrale, o se invece preferisce compararsi a Paesi come USA, Francia, Gran Bretagna, Germania, Russia e Stati Uniti – gli altri appartenenti al G8. Che sono anche i Paesi con la più alta spesa per Difesa e, guarda caso, anche con i più grandi eserciti.

Vi è un’ampia letteratura sullo sviluppo dell’industria della Difesa e sugli eserciti nazionali. In molti casi non c’è accordo tra gli studiosi. Ma gli esperti tendono in generale a convenire sul fatto che senza bilanci per la Difesa di adeguate dimensioni, le industrie del settore non avrebbero economie di scala sufficienti per svilupparsi e quindi sopravvivere. Riducendo il nostro esercito, ci sono dunque molti motivi per pensare che anche la nostra industria ne risentirebbe (si pensi a Fincantieri e a Finmeccanica).

L’affermazione più drammatica pare però essere la terza. Nell’articolo si afferma che l’Italia servirebbe meglio i suoi interessi se ridimensionasse il suo esercito, così da concentrarsi sul rafforzamento delle proprie forze di polizia e, contemporaneamente, si specializzasse nell’assistenza umanitaria.

L’affermazione denota una certa incomprensione dei fenomeni e degli scenari politici, militari e strategici contemporanei. Adam Smith, non certo un seguace di Clausewitz o di von Moltke, nel suo famoso saggio sulla ricchezza delle nazioni, scriveva che tra l’opulenza e la difesa, gli Stati dovevano preferire quest’ultima. D’altronde, lo stesso Smith vedeva nella protezione dalle minacce esterne uno dei limitati compiti spettante agli Stati.

A leggere l’articolo sembra però che la sicurezza internazionale sia diventata tutto d’un colpo una questione secondaria, di cui il nostro Paese farebbe meglio a non occuparsi. Se quanto qui dedotto corrisponde al pensiero dell’autore (e non ci sono ragioni per pensare diversamente) sarebbe interessante sapere come si giunge ad una tale conclusione. Il sistema internazionale sta scricchiolando, l’ascesa di Cina e India sta spostando il baricentro del mondo più ad Est, gli Stati Uniti fanno sempre più fatica a mantenere la loro leadership, la sponda Sud del Mediterraneo sta diventando sempre più instabile e turbolenta, l’Africa non pare destinata a rialzarsi a breve, e intanto fenomeni quali terrorismo, armi di distruzione di massa e traffici illeciti rendono sempre più incerto, instabile e pericoloso il mondo di oggi e di domani. In un tale scenario, nel quale ogni Paese dovrebbe sia pensare alla propria sicurezza che a contribuire alla sicurezza internazionale, la ricetta proposta nell’articolo consiste nel chiuderci in noi stessi. Non sembra sia esattamente la più adeguata.

Fatta questa analisi, resta una valutazione di importanza ancora superiore. E riguarda la concezione strategica che si ha del nostro Paese. Unnia ritiene che l’Italia farebbe bene a pensare alla sicurezza interna, a chiudersi in se stessa, e a specializzarsi in compiti tutto sommato – mi permetto – irrilevanti a livello internazionale. Cooperazione e assistenza umanitaria. Il mondo di domani è incerto e pericoloso, e dunque richiede visione e leadership. Quale peso internazionale potrebbe avere un Paese con le ambizioni proposte nell’articolo?

Proprio mentre il segretario della Difesa americana sprona gli europei a mandare più truppe in Afghanistan e a spendere di più in Difesa, seguendo le indicazioni dell’articolo, dall’Italia arriverebbe una risposta abbastanza desolante.


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