Redistribuzione fittizia

di Mario Seminerio – © Libero Mercato

Su lavoce.info un articolo di Chiara Saraceno evidenzia le numerose incoerenze della cosiddetta manovra “redistributiva” del governo, che di redistributivo sembra in realtà avere poco e nulla. A partire dalla manovra di riduzione dell’Ici, fortemente voluta da Rutelli ed originariamente nata con soglia di reddito, poi fatta saltare (con assenso governativo) durante il dibattito sulla Finanziaria. Saraceno lamenta che poco e nulla sia stato fatto per gli affittuari, che tendenzialmente (ma non necessariamente) accolgono tra le proprie fila i soggetti a maggior disagio economico.

Ad esempio, il governo non ha voluto o potuto trovare la copertura per la cedolare secca al 20 per cento sugli affitti, che avrebbe permesso di fare emergere molti contratti di locazione, ed i relativi soggetti coinvolti. In quel caso ha prevalso la demagogia della sinistra massimalista, indisposta a “fare un regalo” agli odiati rentiers proprietari immobiliari. Discorso analogo per il bonus agli incapienti: presentato con grande fanfara come l’inizio della rivoluzione della “imposta negativa sul reddito“, appare in realtà una classica misura una tantum, finanziata solo per quest’anno grazie a parte dell’extragettito, verosimilmente perché il governo mirava ad una Finanziaria elettorale. L’anno prossimo, per non perdere la faccia, dovranno essere reperite risorse fiscali per finanziare eguale intervento, in un contesto che si annuncia assai poco benevolo in termini di congiuntura.

Allora sarà molto più evidente la sconsideratezza di aver dilapidato 9 miliardi di euro per eliminare lo “scalone Maroni”, a beneficio di 130.000 persone (di cui 40.000 pubblici dipendenti). La politica di welfare italiana continua ad essere estemporanea, non strutturale e ad alto tasso di demagogia. In sintesi, inefficace ed inefficiente, in un paese che ha un indice di povertà relativa superiore alle media europea, con aree di forte disagio nell’assistenza agli anziani, non autosufficienti e all’infanzia, il tutto a causa di un modello perverso di stato sociale, che destina alle pensioni una quota assurdamente elevata del totale di spesa.

Non siamo d’accordo con l’analisi finale della Saraceno, che critica i trasferimenti monetari, preferendo quelli sottoforma di servizi. I trasferimenti monetari servono a responsabilizzare i beneficiari, e dovrebbero essere messi al servizio di acquisti di beni e servizi erogati in forma di quasi-mercati, e non necessariamente da strutture pubbliche, per valorizzare il principio di sussidiarietà. Con l’idea della Saraceno, finiremmo con l’avere il classico nanny-state che fa tutto, e lo fa male e con risorse in eccesso.

Riguardo l’altro punto sollevato dalla sociologa torinese, l’introduzione di un salario minimo, occorre capirsi: se l’idea è quella di una gestione degli incapienti, con un’imposta negativa sul reddito basata su conguaglio fiscale annuale, siamo d’accordo. Se invece si vuole suggerire l’introduzione di un minimo retributivo, l’effetto ultimo sarebbe quello di danneggiare l’occupazione, soprattutto dei lavoratori a minore qualificazione, interferendo con i meccanismi di mercato.


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