di Mauro Gilli
La terza commissione delle Nazioni Unite ha votato l’approvazione della moratoria della pena di morte. Questa decisione, salutata da molti come un evento storico, può essere considerata solo per un aspetto, la sua totale irrilevanza. L’impegno dei molti attivisti e uomini politici che hanno lavorato per raggiungere questo obiettivo è certamente encomiabile. Il loro sforzo, però, non servirà a far abolire la pena di morte.
Un fallimento atteso. L’Onu è un’organizzazione di Stati Sovrani. Ciò significa che non è un istituzione “indipendente”, nè un attore terzo nello scenario internazionale. L’Onu riflette gli interessi e le posizioni di forza degli Stati. In altre parole, l’Onu è schiava degli Stati. Se acluni di essi contemplano all’interno del loro ordinamento giuridico l’istituto della pena di morte, non è ben chiaro per quale motivo essi dovrebbero lavorare con l’Onu per portare alla sua abolizione. Se volessero abolirla, provvederebbero autonomamente. E’ chiaro dunque che questi stessi Stati non avranno alcun motivo per cooperare con l’Onu per promuovere la presente causa.
A ciò si aggiunge un altro aspetto, certamente non secondario. Come detto, l’Onu è un’organizzazione di Stati sovrani. Quindi, nonostante la retorica del diritto internazionale e di tutti i buoni propositi che spesso vengono elencati da coloro che credono nelle organizzazioni internazionali, gli Stati esercitano il monopolio dell’esercizio del potere all’interno dei loro confini. Nessuno, dunque, neanche l’Onu, può violare la capacità di ogni singolo Stato di definire la sua legislazione interna. L’Onu, dunque, oltre a non essere un organo indipendente, non ha neanche alcun potere pratico. Questo è il problema principale che si frapponge tra la enunciazione di principi altisonanti e la loro realizzazione pratica.
Il problema dell’Onu. Un’analisi ideologica potrebbe identificare nella particolare configurazione dell’Onu la ragione della sua inefficacia. Secondo alcuni, la composizione del Consiglio di Sicurezza, o più in particolare l’esistenza stessa del diritto di veto, renderebbe l’istituzione che ha sede al Palazzo di Vetro dipendente dalla volontà delle “Grandi Potenze”. Per altri, invece, la presenza di Paesi non democratici renderebbe vano ogni tentativo di promuovere democrazia e diritti umani.
Come detto, in entrambi i casi si tratta di una lettura ideologica dei fatti. Se l’Onu non fosse dotata di un Consiglio di Sicurezza; se il diritto di veto venisse abolito; oppure se fosse composta di soli Paesi democratici, nulla cambierebbe. Non essendo dotata di alcun potere di coercizione – gli Stati, appunto, rimangono titolari della sovranità – essa non può fare altro che lanciare appelli. Ed affidarsi alla speranza che essi vengano accolti dagli Stati.
L’Onu, per diventare effettiva, dovrebbe trasformarsi in un Governo mondiale dotato di potere di coercizione, e quindi capace di implementare e attuare le sue decisioni (“rule enforcing”). Una tale ipotesi, come è ovvio di primo acchito, non è solo una prospettiva distante se non addirittura irrealizzabile, ma potrebbe anche compromettere per sempre le sorti della democrazia – su questo aspetto, che qui non può essere trattato, si veda per esempio Jeremy Rabkin, Law Without Nations? Why Constitutional Government Require Sovreign States (Princeton, Princeton University Press, 2005).
La morte prematura della moratoria. Esattamente come per il trattato di Locarno, che nel 1925 arrivò a “vietare la guerra”, la moratoria della pena di morte non lascierà alcun segno tangibile nella storia, se non forse l’ilarità di chi verrà dopo di noi. Essa, infatti, non rappresenta nient’altro che un tentativo inutile volto a rendere il mondo un posto migliore. Invece di partire da un analisi oggettiva di come le relazioni tra Stati funzionano, e proporre delle soluzioni serie e realizzabili, si basa su una visione manichea di come il mondo “dovrebbe” funzionare. Non deve dunque sorprendere che in conclusione, la moratoria avrà solo riempito le pagine dei giornali, sempre pronti a salutare con entusiasmo questo tipo di avvenimenti, ma poco propensi a cogliere la realtà che si nasconde dietro ai fatti.
6 risposte a “L’illusione della moratoria della pena di morte”
[…] Mi sembra utile citare e contestare le principali critiche che ho sentito nei confronti dell’iniziativa italiana.Secondo alcuni la risoluzione sarebbe un’interferenza negli affari interni di stati sovrani ed il segno di un’attitudine colonialista (vedi ad esempio resoconto sul Sole24ore). Secondo altri l’iniziativa è totalmente inutile in quanto non chiede l’abolizione della pena di morte e non vincola nessuno ad abolirla o a fare una moratoria (vedi ad esempio Epistemes.org). […]
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Mah, l’onu e’ un’organizzazione di belle speranze, che possa esortare a maggioranza i propri membri a fare qualcosa non mi sembra completamente fuori luogo. Quel che mi stupisce e vorrei capire da te che te ne intendi di piu’ di me e’ il motivo per il quale l’italia abbia speso il suo capitale politico e risorse diplomatiche per un obiettivo inutile ed irrealizzabile.
Tempo fa ho sostenuto che si trattava di obiettivi interni, ma non ne sono piu’ tanto sicuro.
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Rispondo per interposta persona.
Gli Stati hanno una natura tendenza ad espandersi. Quando le cpaacità militari, le dimensioni delle loro economie interne o la coesione della loor popolazione glielo permettono, questi tendono ad instaurare egemonie militari o economiche esterne attraverso le quali cercano di controllare altri paesi.
I paesi “controllati” non sfuggono al bisogno di espandersi. Non potendo però pensare a mirabolanti avventure, questi si inventano delle nicchie in cui possono primeggiare. A livello internazionale, ciò dà loro vantaggi pari a zero. A livello interno, però, è possibile vendere queste sceneggiate come degli eclatanti successi.
Quando il governo di uno Stato si vede a corto di consenso domestico, queste operazioni sono sempre molto utili: costano poco, non comportano alcun rischio pratico, e soprattutto possono essere mascherate dietro retorica buonista e utopista.
Il peace-keeping rappresenta l’apice di questa ricerca di prestigio.
saluti, e grazie per il commento, ag.
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Volevo innanzitutto chiarire quanto avevo scritto sopra riferendomi all’obiettivo come “inutile” e affermare che alla pena di morte sono contrario, come ho scritto piu’ volte.
Tornando al tema e alla risposta di ag, se non ho capito male dici che i costi di montare una campagna del genere sono piuttosto bassi. La cosa mi stupisce non poco, bussare alle porte di un qualche centinaio di diplomatici di diversi paesi e convincerli a perseguire questa cosa deve aver occupato la nostra diplomazia per diversi mesi. Mi interessa sapere il costo-opportunita’ piu’ che il costo effettivo: quali altri obiettivi erano perseguibili e realizzabili?
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Ciò che distingue gli economisti dagli scenziati politici è il diverso approccio verso i guadagni relativi.
Per gli economisti, gli attori massimizzano i vantaggi assoluti. Per gli scienziati politici, gli attori massimizzano quelli relativi. [A proposito c’è un interessante paper di Mastanduno (1990).]
Ho citato questa discrepanza di vedute per specificare il mio argomento. Bussare alla porta delle diplomazie altrui costa, certo. Ma relativamente costa molto poco.
Mi spiego meglio: se l’Italia avesse voluto occupare militarmente il Medio Oriente, oltre al costo dell’operazione sarebbe stato necessario fronteggiare anche i costi delle ritorsioni altrui.
Bussando alle diplomazie altrui si sopporta un solo costo: quello dell’operazione. Non c’è rischio ch qualcuno smetta di considerarci amici o alleati.
Insomma, se l’operazione fallisce, abbiamo buttato via un po’ di soldi e un po’ di tempo. Ma è finita lì. Si rischia davvero poco.
Se l’Italia volesse davvero l’eliminazione della pena di morte, o rinesse la questione di così vitale importanza, per esempio potrebbe interrompere le relazioni con tutti i paesi contemplano tale istituto. USA, IRan, Cina, Russia, Algeria, Libia: ecco alcuni nomi. Nostri fornitori o aquirenti fondamentali. Questa sarebbe una strategia costosa (in termini relativi): Ecco perchè non viene neppure presa in considerazione. Ed ecco perchè si preferisce andare a bussare alle porte altrui. Ci impegnamo, ma stando ben attenti a darci la zappa sui piedi. Ovvero, ad evitare che i costi relativi dell’operazione siano troppo alti.
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Grazie per i commenti ad tutti e due gli Andreas. AG ha risposto in modo abbastanza esauriente alla domanda che ha posto AM. Credo pero’ che ci sia un altro aspetto da sottolineare rispetto al costo di questa operazione.
Uno dei principali argomenti a favore delle organizzazioni internazionali e’ la loro capacita’ di abbassare i costi di transazione (Keohane, After Hegemony, 1984). Proprio questo ci permette di capire meglio la situazione nel suo complesso.
L’Italia non ha dovuto andare a bussare alla porta di centinaia di Paesi. Attraverso l’ONU e le sue strutture interne, questo tipo di operazione diventa “inexpensive”. Sia in termini assoluti, che in termini relativi.
Se non fosse stato per l’ONU, dunque, l’Italia avrebbe dovuto mobilitare tutto il suo corpo diplomatico in giro per il mondo per raccogliere il consenso di ogni singolo Paese. Con l’ONU, presso la quale ogni paese ha una missione permanente, la questione diventa ben diversa.
In altri termini, se non ci fosse l’ONU probabilmente l’Italia non avrebbe avuto alcun incentivo a lanciarsi in questa iniziativa, dati infatti gli alti costi (costo/opportunita’) dell’operazione. Con l’ONU, l’incentivo e’ invece abbastanza alto. Dati i bassi costi, l’investimento in questa operazione diventa relativamente basso.
Cio’ e’ particolarmente importante in ragione di un’altra considerazione. Non credo ci siano solamente questioni di natura interna dietro a questa mossa (anche se esse hanno giocato un ruolo di primo piano). L’Italia fa parte di quei Paesi “in-between”, non deboli, ma neanche sufficientemente importanti a livello internazionale. Dunque, e’ alla disperata ricerca di guadagnare prestigio. Il problema per il nostro Paese e’ quello del vincolo di bilancio, particolarmente acuto per noi per via della situazione catastrofica della nostra economia e piu’ precisamente dei nostri conti pubblici. Poiche’ siamo sempre piu’ bancarotti, cerchiamo di “investire” in quelle operazioni che, crediamo, diano grandissimo ritorno al minimo costo. Il Governo ha creduto che questo investimento sarebbe stato molto proficuo. Il tempo dira’ se aveva ragione. (io ho la mia personalissima idea: sarebbe piu’ utile organizzare partite di pallone tra cantanti, politici etc.)
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