di Andrea Gilli
Con una breve dichiarazione mezzo stampa, il ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha sostenuto la necessita’ di interrompere la missione americana “Enduring Freedom” in Afghanistan – la missione iniziata all’indomani dell’11 settembre e che ancora oggi ha l’obiettivo di sconfiggere militarmente i talebani.
Il titolare della Farnesina ha avanzato tre ragioni per cui sarebbe necessario terminare la missione suddetta. In primo luogo, secondo il ministro, molto spesso ci sarebbero delle sovrapposizioni tra la missione ISAF (a guida NATO, su mandato ONU) e la missione Enduring Freedom (a guida americana). In secondo luogo, le vittime civili causate dalle ultime operazioni militari contro i talebani “non s[arebbero] accettabili sul piano morale, s[arebbero] disastrose sul piano politico e [avrebbero] creato crescenti tensioni tra le forze internazioanli e il governo afghano.”
Chi scrive crede che queste giustificazioni non motivino assolutamente una scelta radicale quale quella proposta dal ministro.
Partiamo dalla presunta sovrapposizione tra le due missioni. Il fatto che vi siano, o vi siano state, delle sovrapposizioni, non significa che un’operazione sia da cancellare. Al massimo si potrebbe pensare ad un migliore coordinamento tra le due – e cio’ e’ assolutamente auspicabile (difatti tale coordinamento gia’ esiste). A tal proposito sorgono pero’ due gravi dubbi: uno di ordine generale, e uno riguardante l’Italia. Quello di ordine generale ha a che fare con gli scopi delle due missioni. Come specificato sul sito della NATO, l’operazione ISAF e’ volta alla ricostruzione, alla sicurezza e alla stabilizzazione dell’Afghanistan. La missione “Enduring Freedom”, invece, e’ un’operazione militare che ha si’ aspetti civili, ma che e’ soprattutto volta alla sconfitta politico-militare dei talebani – sconfitta politico-militare indispensabile per il successo della missione ISAF. La missione ISAF vuole difendere le deboli istituzioni afghane e permettere loro di crescere e svilupparsi in sicurezza. La missione Enduring Freedom cerca di far si’ che in Afghanistan il problema della sicurezza non venga piu’ posto. Annullando la seconda, come e’ evidente, anche la prima sarebbe costretta al fallimento. Dunque, per quanto alti, i costi politici della missione Enduring Freedom sono ancora inferiori ai benefici che essa puo’ produrre.
Da questa panoramica generale e’ pero’ analizzare nel dettaglio il caso dell’Italia. E in questo caso non si puo’ non notare una forte contraddizione tra quanto il ministro auspica e quanto il nostro Paese sta attualmente facendo. E’ da tempo che gli Stati Uniti chiedono un contributo maggiore ai propri alleati, specie in Afghanistan. Solo di recente il nostro Paese ha provveduto a rinforzare le nostre truppe dal punto di vista delle dotazioni militari (aprile 2007). Purtroppo, pero’, le norme di ingaggio sono ancora altamente restrittive – tanto che i nostri soldati possono addirittura rappresentare un intralcio per le altre forze della coalizione – anche nel caso in cui queste ultime fossero attaccate dai talebani. Insomma, non solo le nostre truppe non possono attacare i talebani, ma non possono neanche andare in soccorso di truppe alleate da essi attaccate.
Proprio per questa ragione non si vede come si possa pertanto chiedere la cessazione di una missione (Enduring Freedom) quando non solo la sovrapposizione con l’altra (ISAF) e’ minima ma anche e soprattutto quando chi partecipa alla seconda non e’ assolutamente disposto a portare a termine gli obiettivi della prima.
Per quanto riguarda invece i gravi problemi – sottolineati dal ministro – che la missione Enduring Freedom porterebbe tanto all’Afghanistan che ai Paesi che operano al suo interno e’ necessaria una minuziosa analisi.
Su fatto che le vittime civili non siano moralmente accettabili preferiamo non proferire parola. La morale e’ individuale e relativa. Non possiamo pero’ non sottolineare come, sia per i mezzi attraverso i quali la missione e’ condotta che per i suoi fini, appaia difficile muoverle contro dei dubbi, specie sul piano morale. D’altronde, se filosofi come Michael Walzer la hanno sostenuta, evidentemente essa non deve rappresentare questo abominio che le parole di D’Alema sembrano suggerire.
A proposito delle loro disastrose conseguenze politiche possiamo piu’ o meno essere d’accordo con il ministro. Ma questa critica (specie se sommanta alle presunte tensioni che sempre la missione Enduring Freedom creerebbe) perde ogni tipo di credibilita’ quando si porta alla mente la condotta italiana in Afghanistan e in special modo l’ambiguo corso tenuto con il caso Mastrogiamoco.
In conclusione, le missioni ISAF ed Enduring Freedom sono complementari, non alternative. La cessazione di una sanzionerebbe, de facto, la fine dell’altra. Le vittime civili sono certamente un problema da tenere in considerazione: ma finora non sembra che abbiano raggiunto livelli tali da compromettere l’intera missione – specie se paragonati ad altre operazioni, tipo quella in Kossovo. Poiche’ la lotta ai talebani e’ essenziale per la stabilizzazione dell’Afghanistan, non vi sono ragioni per chiedere la fine della missione Enduring Freedom.
Chiederne la fine sembra difatti abbastanza imprudente: sia per le ripercussioni che cio’ puo’ avere sulla missione medesima (si vedano le tensioni politiche di cui parla il ministro) che per gli effetti sui rapporti dell’Italia con Washington.
Il dubbio legittimo e’ che, di fronte alla bocciatura della mozione presentata ieri dal Sen. Calderoli, il ministro abbia voluto usare la politica estera come strumento di lotta politica interna, e che quindi le sue dichiarazioni siano totalmente distaccate dal reale corso afghano.
Se cosi’ fosse, l’unica cosa da chiedere sarebbe la fine di questa assurda pratica – tutta italiana.
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