di Chris J. Brown*
La politica estera di Tony Blair e’ stata costantemente caratterizzata dal suo internazionalismo liberale. Internazionalismo liberale che trova le sue radici nei valori e negli ideali dell’ormai ex-primo ministro britannico, ma che e’ anche stato influenzato dalle pusillanimi politiche dei Tory nei primi anni Novanta, durante i quali i bosniaci furono abbandonati alle pulizie etniche e agli eccidi di massa che li colpirono nel nome di un “realismo” moralmente vacuo.
Come Brendan Simms ha sostenuto, quello fu il peggior momento della Gran Bretagna, e va dato credito a Tony Blair per l’averlo riconosciuto e aver quindi, al contrario, preparato il lancio o comunque contribuito agli interventi umanitari in Kosovo e Sierra Leone.
Nessuna politica ha successo al 100%, ma nei casi del Kosovo e Sierra Leoni una pessima situazione e’ stata migliorata grazie ad un consapevole uso della forza militare. Blair ha difeso i valori dell’Illuminismo quando essi sono stati minacciati sia all’interno dell’Occidente che al suo esterno, dai suoi nemici tradizionali – mentre non ha accettato di incolpare le vittime dopo l’11 settembre differenziandosi cosi’ nettamente e favorevolmente rispetto alle ambigue parole di numerosi intellettuali occidentali che fecero quasi a gara per giustificare le azioni di al Qaeda (si veda Chomsky, per esempio: ndt).
L’intervento in Iraq e’, certamente, piu’ difficile da giustificare in termini di risultati, specie se paragonato al Kosovo o alla Sierra Leone, ma le ragioni per la rimozione di Saddam Hussein erano solide, e ancora oggi rimangono tali. Era ragionevole credere che le famose armi di distruzione di massa esistessero realmente – gli stessi generali di Saddam continuarono a sostenere la loro esistenza fino al dicembre 2002, quando Saddam ordino’ loro di affermare il contrario – come ragionevole era credere che non avrebbe esitato ad usarle, se si fosse presentata l’occasione.
Contenere Saddam poteva essere un’opzione, ma cio’ avrebbe significato continuare ad imporre delle sanzioni che colpivano i normali cittadini iracheni, mentre la leadership del Paese avrebbe continuato a vivere nel lusso.
Sostenendo l’invasione del 2003, Blair ha agito sulla base del principio (Lockiano, ndt) di rimozione di un tiranno. L’accusa secondo la quale il primo ministro inglese avrebbe supinamente seguito gli americani e’ semplicemente ridicola – la sua opposizione al regime di Saddam, e la volonta’ di agire contro di esso, puo’ essere ritrovata gia’ negli anni Novanta, quando invece il Presidente Bush, candidato alla Casa Bianca, si opponeva all’idea di diffondere la democrazia e promuovere gli interventi umanitari.
Che le cose siano andate storte in Iraq e’ innegabile, ma Blair non e’ responsabile per le decisioni prese dall’amministrazione americana nell’estate 2003 (abolizione dell’esercito, opposizione ai sunniti, etc. ndt), ne’ tanto meno per l’incredibile brutalita’ degli insorti che si oppongono al primo governo democraticamente eletto che l’Iraq abbi mai visto.
La guerra in Iraq sara’ probabilmente vista dagli storici come il piu’ importante evento della premiership di Blair. La mia impressione, pero’, e’ che essi saranno molto piu’ generosi e favorevoli al suo governo di quanto non siano invece la maggior parte dei commentatori contemporanei.
* Chris J. Brown e’ Professore Ordinario e Capo del Dipartimento di Relazioni Internazionali della London School of Economics.
Questo pezzo e’ inizialmente apparso sul sito della London School of Economics and Political Science. Traduzione di Andrea Gilli.
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