La fine dell’Europa

di Andrea Gilli e Mauro Gilli

L’accordo siglato sabato scorso sul futuro dell’Europa e’ parso, a molti, un nuovo rilancio al ribasso. Emma Bonino ha senzentiato il ritorno all’era degli “egoismi nazionali”, dove lo slancio ideale si sarebbe esaurito; Romano Prodi ha visto lo spirito europeista svanire; e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha parlato addirittura di “meschini ripiegamenti” riferendosi all’atteggiamento di alcuni Stati (la Polonia). In realta’, se si guarda alla realta’, quanto e’ accaduto non stupisce affatto e non rappresenta nulla di nuovo.

Nelle parole di Bonino, Prodi e Napolitano e di molti (troppi) altri esponenti politici, intellettuali e commentatori si vede infatti un certo dissapore per come l’Europa sta evolvendo e in particolar modo alle resistenze che di volta in volta emergono nel cammino integrazionista. Il problema e’ che tutti costoro guardano al dito, e non alla luna. Gli assunti sono sempre gli stessi, basta averli chiari in mente per capire cosa succede e come rispondere. Infatti, se si parte da astratti concetti quali “lo slancio ideale” o lo “spirito europeista”, o addirittura si parla di “meschini ripiegamenti”, oltre a portare alla mente terrificanti analogie di leniniana memoria, si manca completamente la comprensione dei fatti e dunque non si favorisce nel modo piu’ assoluto lo sviluppo del progetto europeo.

Ripartiamo dunque, per l’ennesima volta, dai fondamentali. L’Europa e’ fatta di Stati sovrani. Ogni Stato e’ geloso della sua autonomia e della sua indipendenza, tanto nella sfera politica, quanto in quella militare, giuridica ed economica. Si chiama sovranita’. Ogni Stato e’ guidato da un governo che, in primis, mira ad essere riconfermato, e quindi pone l’utilita’ dei suoi elettori e poi dei suoi cittadini al di sopra dell’utilita’ degli altri cittadini dell’Unione, a meno di sostanziali vantaggi negli stessi o in altri campi (per esempio uno Stato puo’ accettare la moneta unica – fine della sovranita’ monetaria – in cambio della maggiore stabilita’ valutaria che ne otterrebbe, etc.). 

Di conseguenza, il ritorno al pragmatismo e agli egoismi nazionalistici paventato dalla Bonino non e’ altro che la descrizione di come si conduce la politica internazionale. Niente di piu’, niente di meno. Nessun Paese ha mai avuto uno slancio ideale che punisse la propria autonomia: gli Stati Uniti del Piano Marshall, cosi’ come i sei Stati fondatori della Comunita’ Europea, hanno sempre guardato in primo luogo ai loro interessi. Tant’e’ che questo mitico slancio ideale subi’ un primo colpo mortale nel lontano 1954, con l’affossamento della Comunita’ Europea di Difesa per mano della Francia.

Stupisce che un ministro al commercio internazionale e addirittura il primo ministro di uno Stato non siano informati e coscienti di questi basilari concetti.

Ricapitolando, gli Stati cercano di conservare la massima autonomia e indipendenza in tutte le possibili sfere decisionali. E cio’ avviene non per una loro intrinseca o naturale cattiveria o egoismo, ma semplicemente perche’ gli Stati vogliono mantenere, e possibilmente rafforzare, la loro capacita’ di incidere (leggi: favorire) i loro cittadini e i loro elettori rispetto a quelli degli altri Paesi.

Il fatto che alcuni Stati favoriscano lo sviluppo del progetto europeo non deve ingannarci. Dietro alle retorica europeistica si nascondono infatti dei sani, e duri, interessi. Non a caso, come in qualsiasi processo di cooperazione, da un progetto di integrazione ci sono Stati che possono guadagnare di piu’ e altri che possono ottenere di meno. Se per un Paese la perdita di autonomia (costo marginale) derivante dal processo di integrazione e’ inferiore ai vantaggi correlati (ricavi marginali), questo Paese avra’ un incentivo a promuovere l’integrazione. Nessuno “slancio ideale”, nessuno “altruismo”, nessuna mancanza di “meschinita’”. Semplicemente la coincidenza tra gli interessi nazionali e quello che, nel mantra europeo, viene identificato come il bene assoluto, la scelta giusta

Allo stesso modo, un Paese messo in situazione opposta sara’ quanto meno scettico se non totalmente contrario al processo di integrazione. Si tratta di una semplice divergenza di interessi.

Risulta dunque paradossale il fatto che la Polonia, che si oppone ad un accorco che la penalizza, venga etichettata come egoista, mentre la Francia o la Germania, che minacciano misure ritorsive per favorire un accordo che le avvantaggia significativamente, sarebbero altruiste. E’ ovvio che questi Paesi tendano a dipingersi in tale modo. E non deve stupire il fatto che gli altri Paesi non sollevino dei dubbi: per piccoli Paesi come Belgio, Svezia o Olanda, il processo di integrazione europea rappresenta un’enorme garanzia per il futuro. Per Paesi privi di leadership politica come Spagna o Italia, invece, l’unica idea da vendere ai propri elettori. La Polonia come Spagna e Italia ha numerosi motivi mettere in discussione tanto il processo in se’ che i suoi modi, ma a differenza dei due Paesi mediterranei ha anche una leadership politica in grado di avanzare tali obiezioni.

Non c’e’ dunque ne’ egoismo ne’ altruismo, ne’ slancio ideale, ne’ meschino parrochialismo. C’e’ semplicemente la ricerca della massimizzazione della propria utilita’ marginale.  

This is politics. La domanda che ci si dovrebbe porre, pertanto, e’ se davvero – nel caso della Polonia – non vi sia realmente coincidenza di interessi tra quelli nazionali e quelli europei, e se nell’attuale circostanza questa mancanza non sia ascrivibile ad una visione miope e provinciale dell’elite al potere nel Paese.

La risposta e’ complicata. E’ sicuramente vero che una certa miopia pervade numerose posizioni anti-europeiste, ma la verita’ e’ che la politica e’ fatta di “scambi”, di trade-off. Qualunque accordo o patto ha dei vantaggi e degli svantaggi. Raffigurare l’Europa come la soluzione a tutti i (nostri) mali e’ una semplice illusione. Il processo di integrazione avra’ dei costi, e chi sosterra’ questi costi vuole essere ripagato. Cosi’ funzionano le interazioni strategiche, omettere questa considerazione e’ non solo ingenuo ma anche irresponsabile.

La Polonia ha avuto un atteggiamento forse intransigente. Forse arrogante. Forse “egoista”. Il punto e’ che la Polonia non ha fatto altro che mettere le carte sul tavolo. Si oppone a soluzioni che comportino per lei un saldo negativo tra vantaggi e costi. Pertanto la Polonia, come qualsiasi altro Stato, si opporra’ a determinati progetti o piani fino a quanto il ricavo marginale derivante dalla sua opposizione sara’ maggiore del costo marginale. Piu’ che individuare puri e impuri, buoni e cattivi, sarebbe il caso che anche l’Unione Europea iniziasse a considerare le istanze portate dai singoli Stati per difendere i loro interessi. Solo cosi’ sara’ possibile sciogliere le loro riserve.

Finora il progetto di integrazione e’ proceduto un po’ per inerzia e un po’ perche’ trainato dalla fortissima volonta’ franco-tedesca. Volonta’ non costituita di puri e sublimi ideali ma piuttosto di interessi materiali. Ora, con l’allargamento, piu’ voci si alzano tanto contro i modi che contro gli obiettivi dell’integrazione europea.

Se veramente ci fosse questo spirito europeista fatto di ideali e visioni comuni, il punto di partenza dovrebbe consistere nell’ascoltare queste voci e, se possibile, dare loro una risposta. Le parole di Prodi, della Merkel, della Bonino e di tutti gli altri dimostrano piuttosto quanto poca morale e invece quanto moralismo vi sia nel progetto europeo.

Moralismo (e dunque cecita’ politica) che, se non corretto per tempo puo’ solo portare ad una destinazione: alla fine dell’Europa.


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