di Mario Seminerio
Oggi è stato pubblicato da Istat il dato relativo all’occupazione nel primo trimestre 2007. Il dato eclatante, ad una lettura superficiale, è quello relativo al tasso di disoccupazione, sceso al 6.2 per cento, miglior risultato dal 1992. La grancassa mediatica è puntualmente ripartita, con menzioni d’onore per Repubblica e, soprattutto, l’Unità. Quest’ultimo giornale si segnala per aver rimosso alla radice quelle poche e raffazzonate nozioni di economia ed analisi statistica che, durante la precedente legislatura, sembrava padroneggiare in modo lusinghiero nel panorama dell’informazione italiana. Ebbene, a beneficio dei lettori (de l’Unità, di Repubblica e nostri), proviamo ad analizzare in modo rigoroso il dato sull’occupazione.
Per fare ciò al meglio, è sufficiente leggere il comunicato stampa dell’Istat, davvero esaustivo. Il nostro istituto di statistica premette una considerazione molto importante, soprattutto per i responsabili della politica economica del paese. E’ vero che, rispetto ad un anno fa, il numero totale di occupati è aumentato di 99.000 unità, ma è altresì vero che, in termini destagionalizzati e in confronto al quarto trimestre 2006, l’occupazione nell’insieme del territorio nazionale ha registrato una contrazione pari allo 0,3 per cento. Quali i motivi? Per l’Istat,
“dopo la sostenuta crescita registrata nel 2006, l’indebolimento della dinamica dell’occupazione riflette la sensibile riduzione del ritmo di crescita del lavoro a tempo determinato nonché l’attenuazione dell’apporto fornito dalla componente straniera”.
Possiamo ipotizzare che l’azione governativa volta alla trasformazione di rapporti di lavoro da tempo determinato a indeterminato abbia frenato la creazione di occupazione? L’Istat sembra suggerirlo. In effetti, in un anno in cui la capacità produttiva delle imprese si è rapidamente saturata in Eurolandia, ci si attenderebbe una più vigorosa creazione di nuova occupazione, prima dell’avvio di investimenti di ampliamento della capacità produttiva, che tipicamente manifestano un ritardo rispetto ai livelli di attività ed alla redditività aziendale.
Istat rileva poi che la riduzione dell’offerta di lavoro ha interessato soprattutto le regioni del Centro e del Sud, mentre al Nord, dove vi è di fatto piena occupazione, si rileva un lieve aumento dell’offerta di lavoro. Attenzione a questo dato: per l’Istat, il tasso di attività della popolazione in età lavorativa (15-64 anni) è diminuito nel primo trimestre, passando da un già esile 62.7 al 61.8 per cento. Tradotto, significa che il numero di italiani che lavorano, avendo i requisiti anagrafici per poterlo fare, è in calo. Esiste, cioè, un problema di funzionamento del mercato del lavoro. E questo problema si riconduce verosimilmente al numero di lavoratori scoraggiati, cioè a coloro che cessano di cercare attivamente occupazione.
Secondo l’Istat, nel primo trimestre 2007, il numero di persone inattive di età compresa tra 15 e 64 anni è calato lievemente al Nord (0.3 per cento, pari a 16.000 unità), ma ha subito quasi un crollo al Centro (+5.4 per cento, pari a 137.000 unità) ed al Sud (+4.1 per cento, pari a 260.000 unità). Ergo, il numero dei lavoratori scoraggiati sta aumentando in modo preoccupante.
TIRIAMO LE SOMME. Il numero di persone appartenenti alla forza lavoro è diminuito, ma il numero di quelle in cerca di occupazione è diminuito maggiormente, facendo scendere il tasso di disoccupazione. Per contro, il tasso di attività delle persone in età lavorativa si è contratto di quasi un punto percentuale nell’ultimo anno. Ci sono robusti sospetti che le nuove rigidità normative introdotte dal governo Prodi sul mercato del lavoro stiano contribuendo ad impedire la crescita del tasso di attività. E’ verosimile attendersi che, al prossimo rallentamento congiunturale, questi nodi giungeranno brutalmente al pettine.
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