di Mario Seminerio
Ebbene si, per una volta siamo stati troppo ottimisti. Il cda di Alitalia non ha potuto fare a meno di svalutare la flotta, e ciò ha determinato il superamento delle perdite di bilancio di un terzo del valore del capitale sociale. Ora, gli azionisti saranno chiamati a ricapitalizzare la società. Ma non c’è fretta, questo compito ricadrà sulle spalle dell’acquirente di Alitalia, il quale si rifarà sul venditore, ottenendo un congruo sconto sul prezzo di vendita. L’ipotesi di 40 centesimi per azione (e meno) diventa quindi una sostanziale realtà.
Noi avevamo previsto alcune acrobazie contabili da parte del cda della nostra compagnia di bandiera, finalizzate a non oltrepassare la fatidica soglia di perdite che determina l’abbattimento del capitale sociale, ma c’è un limite anche alla creatività contabile. Quello che è più interessante, in questa vicenda, è il fatto che tutti (da Padoa Schioppa in giù) sapevano che la flotta Alitalia avrebbe inevitabilmente dovuto subire pesanti decurtazioni del valore contabile, viste le condizioni dei venerandi Md80. Malgrado questa trascurabile informazione, per mesi è andata avanti la manfrina della vendita “alle migliori condizioni possibili”, e con fior di paletti.
Non più tardi di alcuni giorni fa, abbiamo letto le bellicose dichiarazioni di Antonio Di Pietro che, sbirciando “in esclusiva” le offerte non vincolanti delle tre cordate, aveva detto che un paio, “pur se altamente competitive”, erano “da migliorare”. Nel frattempo, il management di Alitalia stima in 100 milioni di euro le perdite aggiuntive causate dalle agitazioni sindacali delle ultime settimane.
A chiusa, segnaliamo che Air France-KLM Group, la più grande linea aerea d’Europa, comunica che gli utili del quarto trimestre 2006 sono cresciuti di sei volte grazie all’aumento del traffico passeggeri ed ai risparmi di costo derivanti dalle sinergie tra le due società aggregate. L’utile netto è cresciuto di 43 milioni di euro, o 15 centesimi per azione, da 3 milioni di euro (3 centesimi per azione). La società era attesa comunicare perdite per 22 milioni di euro. Le azioni di Air France hanno guadagnato il 17 per cento da inizio anno. Dal versante dei costi, la società ha coperto, lo scorso anno, l’85 per cento del proprio fabbisogno di carburante a 52 dollari al barile, mentre quest’anno la percentuale coperta è del 76 per cento a 60 dollari a barile.
Questa era la “promessa sposa” di Alitalia, almeno a sentire i nostri politici e sindacalisti. Per Air France, non c’è destino cinico e baro di caro-petrolio o congiunzioni astrali sfavorevoli. C’è solo managerialità e gestione attenta del rapporto tra costi e ricavi. Ve lo ricordate cosa diceva il segretario generale della Cisl, Bonanni, alcuni mesi fa? Se non ve lo ricordate, vi rinfreschiamo la memoria:
“Air France non mi sembra il partner più adatto per il ruolo che una compagnia di bandiera deve avere in Italia. Ci vuole, comunque, un accordo con una compagnia italiana in modo da controllare almeno il 60-70% del mercato italiano”. Anche il partner ideale “dovrebbe essere distante dall’Italia in modo che i nostri aeroporti non diventino dei sotto-hub” di altre compagnie”
Appunto. E da oggi si apre ufficialmente la data-room, cioè la possibilità, per le tre cordate che partecipano alla gara, di compiere la revisione dei conti di Alitalia, per giungere alle offerte finali, vincolanti ed impegnative. Ma per Alitalia, più che una data room, servirebbe una camera ardente. Con buona pace dei gonzi che, mesi addietro, si sono spellati le mani di fronte alla notizia della privatizzazione “seria” promossa dal governo Prodi.
La questione è una sola: quando riusciremo noi, cittadini e contribuenti italiani, a liberarci a calci in culo di questi politici e di questi sindacalisti?
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