di Piercamillo Falasca
Negli ultimi dieci anni, il dover pagare cinque euro per ricaricare il proprio cellulare è stato uno dei fastidi più acuti di ogni italiano. La sensazione – umorale e non razionale – era quella di pagare “per nulla”, per un bene non acquistato, un servizio non reso. In linea di massima, siamo stati tutti mediamente soddisfatti delle tariffe a consumo che le compagnie hanno iniziato a proporci dopo la diffusione di massa delle Sim Card, partita nel 1997. Ma non abbiamo mai digerito quel “sopruso”.
In principio c’era solo TIM ed il massimo della convenienza era la tariffa “rossa”, la quale permetteva di spendere appena 195 lire al minuto dopo le 20.30 e 95 lire passate altre due ore. Nelle ore diurne, invece, era un salasso: 1950 lire al minuto, più Iva e scatto alla risposta. Usare il telefonino prima delle otto e mezzo di sera era pressoché inconcepibile. Poi arrivò Omnitel, poi fu la volta di Wind ed il resto è vita quotidiana. La concorrenza ci liberò dalla schiavitù delle telefonate serali e tra le nostre preoccupazioni comparve il contributo di ricarica. C’era anche prima, ma lo abbiamo percepito come davvero odioso solo quando la neonata Wind – nel 1999 – ci propose di liberarcene, offrendoci i suoi primi piani tariffari solo a consumo, privi del contributo.
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