Semplificazione fiscale, la prossima rivoluzione

di Mario Seminerio

Sono trascorsi vent’anni da quando il presidente Reagan ha promulgato il Tax Reform Act del 1986, uno sforzo bipartisan per semplificare la legislazione fiscale statunitense. Da allora, ogni anno, il legislatore ha introdotto una media di 750 nuovi provvedimenti di esenzione, deduzione ed altri loopholes fiscali, per un totale di 15.000 deroghe ed eccezioni al Tax Code. Per effetto di ciò, la legislazione è divenuta sempre più onerosa, inefficiente, distorsiva del corretto funzionamento dei mercati e maggiormente incline a favorire comportamenti evasivi. Per il Congresso è tempo di procedere ad una profonda revisione del Tax Code, per semplificare la legislazione fiscale ed ampliare la base imponibile, prerequisito alla successiva riduzione delle aliquote nominali a gettito complessivo invariato.

Lo scorso anno, un advisory panel del Senato ha lanciato la proposta di ridurre drasticamente il numero di crediti d’imposta e semplificare la tenuta dei libri contabili da parte delle aziende. Malgrado alcune sfumature, tra i sostenitori del progetto si contano conservatori e liberal. Il prossimo anno, la nuova maggioranza democratica al Congresso avrà un incentivo insolitamente forte a lavorare con i Repubblicani su alcune riforme fiscali fondamentali. Oltre 60 agevolazioni fiscali, approvate durante il primo mandato di George W.Bush, giungeranno a scadenza nei prossimi quattro anni, mentre il numero dei contribuenti che entreranno nell’area della temuta (e perversa) Alternative Minimum Tax è destinato ad aumentare da 4 a 22 milioni nel 2007.

L’Alternative Minimum Tax (AMT) è un’imposta personale sul reddito che vive in parallelo alla normale imposta sul reddito delle persone fisiche, ma si basa su norme proprie. Il contribuente deve pagare le tasse sulla maggiore tax liability tra i due sistemi fiscali. Ad esempio, se un cittadino ha un imponibile regolare di 35.000 dollari ed un imponibile calcolato secondo i precetti della AMT di 40.000 dollari, dovrà pagare le imposte sulla maggiore passività fiscale, con un’aliquota compresa tra il 26 ed il 28 per cento, e potrà fruire di un credito d’imposta per gli anni successivi pari alla differenza tra l’imponibile irpef regolare e quello della AMT. La filosofia della Alternative Minimum Tax si basa sulla eliminazione sistematica di alcune tipologie di deducibilità fiscale che sono invece operanti nel regime ordinario di imposta sui redditi personali. Ad esempio, in regime di AMT non è possibile dedurre gli interessi sui mutui ipotecari di secondo grado, quelli cioè non relativi ad acquisto, costruzione o ristrutturazione della prima casa; viene limitata la deducibilità delle spese mediche; l’esercizio delle stock options aziendali, che è “invisibile” al regime fiscale ordinario, viene invece considerata materia imponibile in regime di AMT. Viene inoltre esclusa la deducibilità delle imposte sul reddito pagate a stati e contee. Più in generale, quanto maggiori sono le deduzioni di cui il contribuente fruisce, tanto più elevata è la probabilità che egli si trovi assoggettato alla AMT. L’aspetto perverso di questa forma impositiva è rappresentato dall’assenza di correzioni per l’inflazione. Mentre in regime ordinario gli scaglioni d’imposta vengono ogni anno aumentati per evitare il fenomeno del fiscal drag, nella AMT tutte le passività d’imposta sono espresse a valore nominale, circostanza che spinge fatalmente un crescente numero di contribuenti verso il più oneroso regime.

Come si può constatare, la complessità di simili meccanismi, creati proprio per evitare la sottrazione di imponibile causata dalla proliferazione di deduzioni ed esenzioni, tende a creare distorsioni allocative ed oneri impropri, non ultimi quelli relativi alla tenuta delle scritture contabili a fini fiscali.

Vi sono anche risvolti politici: la Alternative Minimum Tax grava sproporzionatamente sui residenti dei Blue States, perché quegli stati tendono ad avere elevata pressione fiscale, mentre la deducibilità delle imposte sul reddito statali e locali non è consentita in regime di AMT. Per avere un’idea della distorsione causata dalla deducibilità delle imposte statali e locali a fini di determinazione dell’imponibile federale, è utile ricorrere all’esempio utilizzato da Greg Mankiw. Supponete che i residenti della città A votino a favore di elevate tasse locali per finanziare la costruzione di una piscina municipale. I vicini della città B, per contro, scelgono di mantenere bassa la pressione fiscale, e di lasciare che i propri residenti si iscrivano ad un club sportivo privato, per fruire della piscina. A causa della deduzione fiscale federale, la città A ottiene un sussidio federale (in termini di minori imposte pagate a Washington) a spese della città B. Questo esito non è equo perchè vìola il principio di equità orizzontale (cioè di eguale trattamento fiscale di contribuenti uguali) né efficiente, perché incoraggia l’eccesso di fornitura di beni e servizi da parte di stati e municipalità rispetto al settore privato.

La via maestra, quindi, deve essere quella della semplificazione del sistema fiscale, ottenibile attraverso la chiusura dei loopholes, che sono il frutto di azioni di lobbying di gruppi portatori di special interests. L’aumento di base imponibile che da ciò deriverebbe deve essere messo al servizio della riduzione delle aliquote su persone fisiche ed imprese, per aumentare l’offerta di lavoro ed in definitiva il tasso di utilizzo delle risorse presenti in un sistema economico. Un’applicazione di questi principi al caso italiano potrebbe prevedere, ad esempio, la compensazione tra Irap e parte dei sussidi alle imprese, in ipotesi di invarianza del gettito fiscale complessivo. Attendiamo quel Godot di governo italiano che vorrà perseguire questa strategia. Ad oggi, la coalizione di maggioranza pare aver imboccato la direzione opposta.


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