Finalmente

di Andrea Gilli

Meglio tardi che mai. Così recita l’adagio popolare che accoglie con un misto di soddisfazione e sollievo l’arrivo di una notizia o di un evento tanto atteso quanto ritardato.Meglio tardi che mai, dunque: non possiamo proprio accogliere altrimenti la ritirata strategica di Donald Rumsfeld dal Pentagono.

Rumsfeld è stato probabilmente uno dei peggiori ministri della Difesa che gli USA possano ricordare, e si badi che riuscire a fare peggio di tutti gli anonimi passati al Pentagono negli anni di Clinton non è proprio un’operazione da poco. Ma Rumsfeld sembra esserci riuscito. Vediamo in breve per quali ragioni.

La gestione della guerra in Iraq

Non bisogna essere degli analisti militari per realizzare quanto la gestione del conflitto sia stata disastrosa. Non è questa la sede per rielaborare tutti gli errori commessi, sta di fatto che proprio al Pentagono sono stati compiuti quelli maggiori. In una visione depoliticizzata dello strumento militare (simile a quella di Ludendroff), il Dipartimento della Difesa ha condotto la prima fase del conflitto (quella che avrebbe portato alla fulminea caduta di Baghdad) in maniera apolitica. Cioè si è combattuto come se la guerra fosse una gara d’atletica nella quale ciò che conta è arrivare primi. Purtroppo la guerra, intesa clausewitzianamente come continuazione della politica con altri mezzi, serve per trovare un compromesso che la sola diplomazia non sa fornire, non per arrivare primi al traduardo. Ciò che invece si è fatto. Il resto è storia recente: la forza non è stata modulata per “convincere gli avversari a sottomettersi alla nostra volontà”, come il Maestro prussiano ha insegnato, ma piuttosto è stata utilizzata al massimo della sua intensità. Il risultato, fin troppo ovvio, è stato quello di spingere i sunniti verso la guerriglia, anche grazie ad una propaganda politica tanto disarmante quanto nefasta (leggi: la comparazione tra baathisti e nazisti, e di qui la necessità di debaathizzare l’Iraq, come se il fattore etnico non avesse alcun peso).

Lo scandalo Abu Ghraib

Chi scrive ritiene che gli Stati Uniti siano andati in Iraq per questioni strategiche, non per esportare la democrazia. Ciò detto, difficilmente si poteva distruggere l’immagine americana in maniera tanto devastante come si è riusciti a fare con lo scandalo Abu Ghraib. E’ apparsa l’immagine di un’America che, da una parte, richiama i più alti ideali per giustificare le sue azioni, e dall’altra si abbassa a compiere degli abomini come quelli che abbiamo visto per raggiungere i suoi fini. Poco importa che i responsabili siano stati pochi: ciò che conta è l’immagine che ne è venuta fuori. Tucidide non sarebbe sorpreso: perchè, come aveva avvertito, le guerre distruggono le norme sociali dei paesi che le lanciano. Il mondo intero, però, è rimasto basito. Mentre la legittimità dell’America andava compromettendosi irrimediabilmente. Lo jus in bello è un fattore portante della legalità e della legittimità internazionale. Il suo rispetto è fondamentale per dare credibilità alla concezione etica che, attraverso la politica (leggi, la guerra), si vuole imporre. Violandolo gli Stati Uniti hanno perduto molto della loro forza: perchè la guerra è ben più del mero combattimento. Come disse il Colonnello Klaus Kuhn “è evidente che le considerazioni umanitarie non possono essere dissociate dalle concezioni strategiche della dirigenza militare”. La violenza indiscriminata è violenza indiscriminata, non è guerra. Ne è la negazione. E ciò non può che portare, come Sun Tzu aveva avvertito, “il proprio avversario su posizioni estreme”. Proprio quello che è successo in Iraq.

Lasciando Rumsfeld al suo posto, però, Bush ha di fatto accettato tutto ciò. E forse ciò è ancora peggio dello scandalo Abu Ghraib in sè.

La recente Quadriennal Defence Review*

Come direbbe il prof. Sartori, una porcata più che una porcheria: perchè chi la ha fatta, appunto Rumsfeld, sapeva di fare una porcheria. Quindi non solo di colpa si tratta, ma anche di dolo. Tra concetti vaghi, formulazione di nuove idee di cui nessuno sentiva il bisogno (the Long War), e tanta confusione, Rumsfeld ha evitato di scegliere. Piccolo particolare: i politici sono incaricati di fare scelte. Se non le fanno loro non si sa chi dovrebbe farle. Il risultato è che il numero dei soldati viene addirittura ridotto (!) perchè “gli alleati contribuiranno a fornire delle nuove truppe” (ma non si spiega come e dove ciò dovrebbe accadere), mentre la tecnologia viene nuovamente innalzata a nuova fonte di vittoria suprema (verrebbe da dire: come l’Iraq dimostra…) e il terrorismo visto incredibilmente come l’unica minaccia del futuro. Insomma, il tipo di documento strategico che gli Stati Uniti non avevano bisogno, soprattutto nell’attuale fase internazionale.

Forse, dunque, la dipartita di Rumsfeld è la migliore notizia dell’anno.

* La Quadriennal Defense Review è un documento di programmazione strategica pubblicato ogni quattro anni dal Pentagono e con il quale si stilano le grandi linee della politica di Difesa americana. Esso sostanzialmente definisce l’allocazione delle risorse del Pentagono tra le varie voci di spesa (addestramento, nuovi strumenti d’arma, conflitti in corso, etc.), eventualmente prevedendone di nuove.


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