di Piercamillo Falasca
Se la consueta retorica europeista dell’attuale maggioranza risulta spesso eccessiva, sul tema della tassazione del risparmio (passaggio dal 12,5% al 20%) essa è addirittura priva di qualsiasi logica economica.
Quale è il vantaggio di un allineamento del livello di tassazione alle più elevate aliquote europee? Perché elogiare l’Irlanda per la sua tassazione agevolata sui redditi d’impresa e considerare l’Italia “poco europea” se la tassazione delle attività finanziarie è da noi più conveniente che nel resto del continente?
Delle due l’una: o si è appiattiti – anche in questo caso – sul cliché dell’ingresso in Europa da conquistarci in ogni settore, o – molto più subdolamente – si usa l’argomento dell’armonizzazione agli standard medi continentali per mascherare una riforma che ha finalità diverse, di gettito e – azzardiamo – di contenimento degli interessi “ideologici” di parte dell’attuale maggioranza di governo.
Indipendentemente da quanto accade in altri paesi, una visione liberale della questione considera in ogni caso migliore una tassazione moderata rispetto ad una elevata.
Va poi sottolineato come un confronto tra paesi è un esercizio sterile, perché la tassazione dei redditi da capitale va analizzata nel complesso più generale del sistema fiscale di un paese e nelle tendenze in atto.
Se è vero, ad esempio, che in Europa la tendenza è avere aliquote sul risparmio superiori a quelle italiane, è altrettanto vero che – da tempo – in tutto il continente si assiste ad una graduale riduzione della tassazione sul reddito, al contrario di quanto l’Unione di Prodi sta realizzando. Il governo spagnolo di Josè Zapatero, per citare una realtà spesso presa ad esempio dal centrosinistra italiano, nell’aumentare le aliquote sulle attività finanziarie dal 15% al 18% (i dividendi fino a 1500 euro saranno comunque esentasse), ha contestualmente – secondo una logica di incentivazione dell’attività produttiva – ridotto l’imposta sul reddito societario delle grandi imprese dal 35% al 32,5%, aliquota che scenderà al 30% dal 1° gennaio 2008; per le piccole imprese la pressione passerà subito dal 30% al 25%. La stessa aliquota massima sull’Irpef spagnola passerà dal 45% al 43%. Dal nostro punto di vista, anche in Spagna sarebbe stato meglio non finanziare la riduzione dell’imposta societaria con quella sul risparmio. Ma, almeno, va riconosciuta l’esistenza di una logica economica in quella riforma.
A rendere poco efficace il confronto tra paesi (e debole l’argomentazione sulla necessità di allineare le aliquote a quelle europee) vi è, infine, la considerazione del ruolo previdenziale – e non solo speculativo – che le attività finanziarie svolgono in Italia, in assenza di un vero ed effettivo sistema di previdenza integrativa.
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