“Mi dà un chilo di deficit?” – Mercati, non Patti di Stabilità

di Antonio Mele

Il diretto discendente del Trattato di Maastricht é il Patto di Stabilità e Crescita (che indicheró col suo acronimo inglese SGP), l’accordo tramite il quale i Paesi aderenti all’UME hanno stabilito criteri di bilancio rigorosi per mantenere i conti pubblici in buono stato. É importante riassumere brevemente quale é la motivazione alla base dei limiti per deficit e debito pubblico.

Al di fuori di una Unione Monetaria, un Paese con debito molto elevato puó ridurlo in due modi: generando avanzi, o aumentando l’inflazione (il debito cosí perde valore reale). Maggiore è il livello di debito, maggiore è l’avanzo primario che sarebbe necessario a sostenere quel debito. Parte del deficit allora viene monetizzato: la Banca Centrale acquista titoli dal Tesoro ed aumenta la quantità di moneta circolante nel sistema. Maggiore moneta si traduce nel lungo periodo in maggiore inflazione. Nel caso in cui un Paese sia interessato a mantenere una inflazione bassa, dovrebbe tenere sotto controllo anche i bilanci pubblici, proprio per evitare di aumentare eccessivamente il debito.
Ora immaginiamo che sia posta in essere una Unione Monetaria: ogni Paese avrebbe un incentivo minore a ridurre il debito, poiché il costo della maggiore inflazione sarebbe distribuito sugli altri Paesi membri dell’Unione. Si parla a tal proposito di esternalitá fiscali (fiscal spillovers). Quindi, senza nessun intervento, il debito e il deficit complessivo dell’Unione sarebbe maggiore rispetto al caso di un Paese con una sola politica fiscale e una sola politica monetaria. Alla lunga, questo creerebbe pressioni ad adottare tassi di interesse nominali differenti nei diversi Paesi, e a far quindi saltare il sistema di cambi fissi: in pratica, a far saltare l’Unione Monetaria, con tutto quel che ne conseguirebbe dal punto di vista economico e (non meno importante) politico.
Per ovviare a questo fenomeno, bisogna porre dei limiti stretti alla possibilitá di generare deficit da parte dei Paesi membri. Pertanto, si é stabilito un patto tra i membri dell’Ume per far rispettare questi limiti e punire i governi meno virtuosi. Ma il metodo che si é scelto per ottenere questo risultato non é sicuramente il piú efficiente.

Una esternalitá, in generale, é l’effetto dell’azione di un agente economico su un altro agente economico, non mediato tramite un sistema di prezzi (i.e., tramite un mercato). Il classico esempio é quello dell’industria che inquina l’aria che respirano gli abitanti della zona dove tale impresa opera: l’azione dell’impresa (cioé la produzione di beni di consumo) ha un effetto su altri agenti economici (i cittadini) e questo effetto non é mediato da un mercato. In tal caso, in un qualsiasi corso base di microeconomia degno di questo nome, un economista degno di questo nome vi potrá spiegare che l’equilibrio di mercato non é efficiente, e che esistono tre modi per risolvere il problema: regolamentazione, tasse pigouviane, e creazione di un mercato.

Lo SGP corrisponde al primo tipo di soluzione: si stabiliscono limiti e norme che l’agente economico che produce l’esternalitá deve rispettare, con (la minaccia di) una sanzione se il limite o la norma viene infranta. Lo SGP infatti prevede la Procedura di Deficit Eccessivo, che viene posta in essere dalla Commissione Europea quando un Paese membro ha superato i limiti imposti dal patto. La sanzione consiste in una multa da depositare presso la BCE.

La regolamentazione, e in generale qualsiasi tipo di accordo tra Stati sovrani, presenta alcune difficoltá di implementazione: per esempio, come ogni tipo di legge, é soggetto a interpretazione, e quindi alla discrezione di chi deve comminare la pena. Ma soprattutto incorre in enormi problemi di enforcement (ovvero di effettiva possibilitá di far rispettare il patto e comminare sanzioni): é estremamente difficile costringere un Paese che non vuole pagare la multa a farlo, proprio perché a livello internazionale non esiste un tribunale a cui rivolgersi per far rispettare la norma. Questo é particolarmente vero per il Patto: le sanzioni sono comminate in ultima istanza dal Consiglio Europeo, che é formato dai capi di governo. Ovvero, coloro che devono essere puniti dovrebbero comminare la sanzione! Nel 2003, infatti, ricorderete come Germania e Francia riuscirono a sottrarsi dalle sanzioni pur avendo un deficit oltre la soglia.

Come detto, esistono altri due modi di risolvere le esternalitá. Uno sono le tasse pigouviane: ovvero tasse congegnate in maniera tale da imporre un costo aggiuntivo a chi produce l’esternalitá negativa, in modo tale da raggiungere una allocazione efficiente delle risorse. Anche questo tipo di soluzione presenta molti problemi, a partire dal come calcolare l’imposta stessa, e soprattutto non risolve i problemi di enforcement sopra menzionati (per una analisi delle tasse pigouviane come alternativa al SGP, si veda Lindbeck e Niepelt (2005)).

Abbiamo infine l’ultima soluzione: la creazione di un mercato per l’esternalitá. Come detto, l’esternalitá é essenzialmente assenza di un mercato: assenza cioé di un luogo in cui i proprietari del “diritto di esternalitá” possono vendere tale diritto ad altri in cambio di un corrispettivo. In tal caso, Ronald Coase nel 1960 dimostró che, in assenza di costi di transazione, tale mercato genera una allocazione efficiente, una volta che siano stati assegnati i diritti di proprietá sul diritto di esternalitá.
Ma se fosse solo un risultato teorico, sarebbe di ben poco aiuto. In realtá, questo tipo di soluzione é stato adottato per risolvere i problemi di inquinamento: per esempio, nel 1990 negli USA é nato il mercato per i permessi di inquinamento di diossido di solfuro (SO2) e altre sostanze nocive, con ottimi risultati (si veda per esempio la brochure informativa dell’EPA): in 10 anni sono stati ridotti del 30% i livelli di emissioni di SO2, e dimezzate quelle di altre sostanze (con programmi simili ma iniziati in anni piú recenti).

Si potrebbe pensare perció di costituire, analogamente, un mercato dei “permessi di deficit”. Tale proposta é merito di Alessandra Casella, una economista italiana della Columbia University, che delineó giá nel 1999 una descrizione dei vantaggi di questo tipo di soluzione rispetto ad un patto.
Anzitutto, un mercato é estremamente piú flessibile: un Paese puó espandere il proprio deficit comprando i permessi sul mercato, in caso sia necessario farlo per esempio per una forte recessione. Se la recessione colpisce solo tale Paese, il prezzo sará basso perché la domanda di permessi sará bassa (gli altri Paesi non avranno bisogno di comprarne tanti).
In aggiunta, il mercato dei permessi di deficit minimizza il costo aggregato di rispettare i limiti fiscali; ancora piú importante, in un mercato di questo tipo i virtuosi sono premiati (perché ricevono un corrispettivo vendendo i permessi di deficit di cui non hanno bisogno), cosa che non avviene con il Patto di Stabilitá. Inoltre, se si permette ai Paesi di “risparmiare” i permessi di deficit in loro possesso (ovvero, di conservarli di anno in anno per poterli utilizzare successivamente), si fornisce un incentivo a ridurre il deficit sotto il 3%, e a non restare sempre vicini a tale soglia sforandola in periodi di recessione(come avviene attualmente).
Infine, si puó sicuramente stabilire un criterio per penalizzare per esempio i Paesi con un forte debito nella distribuzione iniziale dei permessi.

Come dovrebbe funzionare tale mercato? Cercheró di illustrare gli elementi fondamentali del sistema, lasciando al lettore interessato i dettagli contenuti nel paper sopra indicato. Ci dovrebbe essere una regola tramite la quale ogni anno vengono assegnati ad ogni Paese i diritti di deficit da vendere nel mercato (che dovrebbero ovviamente sommare ad un totale del 3% del GDP). Dopodiché, si apre il mercato e si da via alle contrattazioni. É importante che la possibilitá di comprare e vendere sul mercato non sia limitata solo ai Paesi membri dell’Unione Monetaria, ma sia aperta a chiunque: banche, fondi di investimento, privati cittadini; in tal modo si garantirebbe un mercato competitivo. Alla fine dell’anno, i Paesi dovranno avere un deficit di bilancio pari al numero di permessi che detengono. Il deficit in eccesso dovrebbe essere pagato ad un prezzo estremamente elevato (per esempio dieci volte il prezzo di mercato alla chiusura delle contrattazioni).

Anche in termini di enforcement, il mercato é meglio del Patto di Stabilitá: non solo i membri dell’UEM vengono colpiti da comportamenti fiscali non rigorosi di un altro Paese (come nel Patto) , non solo la credibilitá della stabilitá macroeconomica é messa in dubbio se chi sfora i limiti non viene punito (come nel Patto), ma vi é un altro costo diretto che si impone ai Paesi virtuosi: il prezzo dei permessi va a zero, rendendo carta straccia i titoli comprati sul mercato. Questo incentiva i Paesi virtuosi a rendere effettive le sanzioni (i.e., a far pagare la multa per il deficit in eccesso). Ma se anche il livello di enforcement fosse lo stesso del Patto, il mercato dei permessi di deficit continuerebbe ad essere migliore perché minimizza il costo aggregato di rispettare i limiti di deficit (questo punto é chiarito in dettaglio nel paper).

Perché allora non si passa al mercato dei permessi? Non saprei dare una risposta. Potrebbe essere una conseguenza dell’orgia regolatoria che caratterizza da sempre l’Unione Europea, oppure il frutto della generale diffidenza strisciante verso il mercato da parte dei governi europei, o magari la formazione legalistica della maggioranza dei politici. Potrei persino accettare una argomentazione sulla difficoltá di creare un mercato del genere (anche se sinceramente non vedo grossi problemi: si prenda il mercato di SO2 americano, é gestito da due broker privati che amministrano tutte o quasi le transazioni, l’intervento pubblico é nullo).

Certo che é un vero peccato. D’altronde, l’occasione per sperimentare l’efficacia di un mercato si é presentata in Italia negli ultimi 5 anni, grazie alla riforma costituzionale del 2001 che ha dato direttamente poteri fiscali di spesa alle Regioni dimenticandosi poi di dare corso poi al federalismo fiscale dal lato delle entrate (la riforma prevede il federalismo fiscale, ma non si é mai data attuazione al principio stabilito nel testo). Le esternalitá fiscali delle Regioni sono sotto gli occhi di tutti, in particolar modo per la spesa sanitaria. Ecco, invece di gestire questo problema con un mercato dei deficit sanitari, si é pensato di poter risolvere il tutto con un bel Patto di Stabilitá Interno. Col risultato che il deficit sanitario ha raggiunto proporzioni inaudite. Nonostante ció, anche nell’ultima Finanziaria si prosegue su questa strada.

E questo non é un peccato, é proprio triste e sconfortante.

(Si ringrazia Pierangelo De Pace per i preziosi suggerimenti)


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