Gli effetti imprevisti della piena occupazione (senza inflazione)

Negli Usa le imprese assumono perfino i galeotti o investono sui robot, in Giappone si offrono benefit e bonus

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

In Occidente viviamo un periodo storico in cui la tendenza dominante sta diventando quella di ridurre l’immigrazione, percepita come ostacolo al raggiungimento del pieno impiego autoctono e causa di stagnazione salariale e consumo di risorse di welfare. La Brexit è nata anche o soprattutto su questi presupposti, malgrado il Regno Unito fosse in condizioni di pieno impiego pur se con crescita della produttività molto debole.

Donald Trump batte sulla stessa grancassa, tranne quando non trova personale di servizio per i suoi resort ed è costretto ad importarlo. In aggiunta alle restrizioni all’immigrazione, la fase di crescita economica globale in alcuni paesi sta rapidamente abbassando il tasso di disoccupazione sotto i livelli in precedenza considerati tali da alimentare inflazione salariale.

Negli Stati Uniti la ricerca di personale, soprattutto in manifattura e costruzioni, spinge le imprese ad assumere a retribuzione regolare anche ex condannati e detenuti in regime di libertà diurna, in stretta collaborazione con i dipartimenti penitenziari di stato, oltre che a non richiedere, ove possibile, i test antidroga o a “scordarsi” e rinviare a dopo l’assunzione le verifiche penali sui lavoratori. La lunga fase di espansione, almeno sin quando non sarà interrotta da dazi e ritorsioni protezionistiche, e le crescenti restrizioni all’immigrazione non qualificata spingono a queste soluzioni creative di riattivazione di forza lavoro marginale.

Ma questa non è l’unica dinamica innovativa sul mercato del lavoro meno qualificato indotta dal pieno impiego: sempre negli Stati Uniti, l’introduzione di robot in mansioni ripetitive nel settore dei servizi ha raggiunto le catene di ristorazione e fast food, dove si sta diffondendo l’uso di robot addetti a rivoltare gli hamburger e pulire le piastre di cottura.

Queste forme di automazione robotizzata non sostituiscono la manodopera, visto che nel settore l’occupazione è saldamente sui massimi storici, ma liberano il personale dalle attività più ripetitive, anche in conseguenza della diffusione di sistemi di ordinazione telematica a chiosco, consentendo di estendere gli orari di apertura e dedicarsi in modo più accurato al servizio ai tavoli.

In altro e ben differente contesto, quello giapponese, caratterizzato da forte declino demografico ma immigrazione sinora rigorosamente contenuta, temporanea e confinata soprattutto ai servizi alla persona, il governo Abe spinge sulla riduzione dell’orario di lavoro, resa possibile dai forti guadagni di produttività, mentre le aziende cercano di sottrarsi una manodopera sempre più scarsa offrendo l’inserimento nel “nucleo protetto” dei lavoratori, quelli che possono contare su bonus ed altri benefit aziendali.

Tutti questi fenomeni, pur molto diversi tra loro, tendono a produrre lo stesso esito: disoccupazione sempre più bassa ma sinora nessuna inflazione salariale. Un fenomeno nuovo che le banche centrali dovranno considerare, per guidare la politica monetaria.


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