Bonus under 30, rischio di un “gradone” contributivo e di arbitraggi di manodopera

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

L’ipotesi di dimezzamento dei contributi, con un tetto di 3.250 euro, per le assunzioni di giovani sino a 29 anni di età (ma si sta tentando di arrivare sino a 32, se la Ue dovesse concederlo) per i primi due-tre anni dall’assunzione rappresenta l’ennesima riduzione incompiuta del costo del lavoro e si colloca in una consolidata tradizione.

Già quasi vent’anni addietro, la legge 407/90 concedeva alle aziende che assumessero a tempo indeterminato disoccupati o cassintegrati da almeno 24 mesi uno sgravio contributivo del 50%, elevato al 100% in caso di imprese artigiane od operanti nel Mezzogiorno. Il datore di lavoro, per fruire di questa decontribuzione, nei sei mesi precedenti l’assunzione non doveva aver effettuato licenziamenti per giusta causa o mancato superamento del periodo di prova.

La norma fu allentata dalla legge 92/2012, negando alle aziende il beneficio solo se nei sei mesi precedenti avessero proceduto a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o riduzione di personale. Nel 2015 arriva l’evoluzione della specie, affiancata al Jobs Act, e rottama la legge 407: una decontribuzione triennale una tantum per un massimo di 8.060 euro annui, per i rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato esclusi apprendistato e lavoro domestico. Unico paletto: il lavoratore non doveva aver avuto, nei sei mesi precedenti, un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Come si nota, in queste misure c’è una sostanziale continuità: sono temporanee, non affrontano su base strutturale la riduzione del costo del lavoro. Lo sgravio oggi in gestazione per gli under 30 è l’ennesima variazione sul tema, ma con un problema in più: rischia di creare un “gradone” contributivo per fasce anagrafiche.

Il lavoratore che compie trent’anni avrebbe un costo del lavoro raddoppiato all’istante, con tutte le disfunzionalità che questa segmentazione causerebbe. A poco e nulla servirebbe il piccolo ammortizzatore che prevede (coperture permettendo) un taglio del 3-4% del nuovo e più elevato livello contributivo, diviso tra azienda e lavoratore.

Sarebbe comunque uno shock di costo del lavoro che spingerebbe le imprese verso nuovi arbitraggi di manodopera, privandosi degli over 30 per assumere gli under 30 “sgravati”. Una giostra infernale che dovrebbe essere contrastata introducendo divieti selettivi di licenziamento per chi vede raddoppiato il proprio costo del lavoro avendo come unica colpa quella di aver compiuto trent’anni. Sarebbe il ritorno in azienda di una nuova peculiare forma di articolo 18, in pratica.

Ogni riduzione di costo del lavoro deve essere per tutti e definitiva, ma è molto costosa. Per questo motivo oggi possiamo (forse) renderci conto di quante risorse sono state sprecate in questa legislatura, a partire dai 10 miliardi annui per gli 80 euro, che avrebbero potuto essere destinati a riduzione permanente del cuneo fiscale ed alla rimodulazione delle detrazioni d’imposta. Restiamo condannati a toppe triennali.

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