di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
Il nuovo governo conservatore britannico, guidato da Theresa May, si è insediato. Di esso sono parte fondamentale alcuni tra i maggiori sostenitori della Brexit: Boris Johnson agli Esteri, David Davis al ministero per l’uscita dalla Ue, Liam Fox alla guida del commercio internazionale, con il compito di cercare e trovare assi preferenziali con grandi partner commerciali prima di lanciare formalmente la fuoriuscita attivando l’articolo 50 del Trattato di Lisbona.
La nuova premier si è presentata con alcuni punti programmatici che sembrano presi da una piattaforma elettorale del Labour: dare l’ultima parola in modo cogente agli azionisti sulle remunerazioni dei top manager o addirittura imporre per legge la presenza di rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione. Persino suggestioni colbertiste in politica industriale. May cerca in tal modo di rassicurare la working class, promettendole una liberazione dalle angustie della globalizzazione e di tornare ad esercitare quel “controllo” che è risultato il più potente messaggio della campagna per il Leave.
I problemi restano però tutti, visto che è ormai chiaro che l’adesione britannica all’Area Economica Europea, secondo il modello norvegese, si risolverebbe in una beffa e nel tradimento del mandato della Brexit, perché gli obblighi sul libero movimento delle persone resterebbero, come requisito di accesso al mercato unico; per non citare l’obbligo di contribuzione al budget comunitario senza poter influire sul processo legislativo. Il messaggio “sociale” della May entra poi direttamente in rotta di collisione con l’ipotesi di fare del Regno Unito una sorta di Singapore o di Hong Kong d’Europa.
Quanto allo shock economico atteso dalla Brexit, mancano ancora robuste evidenze macroeconomiche, che appariranno solo dopo l’estate, ma la Bank of England di Mark Carney ha reagito subito, a costo di subire accuse di terrorismo psicologico da parte dei sostenitori della Brexit. I tassi ufficiali scenderanno con tutta probabilità ad agosto, mentre quelli di mercato sono già crollati, puntellando la congiuntura; resta aperta la possibilità di riprendere acquisti di easing quantitativo; è stato azzerato il cuscinetto prudenziale di capitale per le banche, per stimolare il credito; il forte deprezzamento della sterlina aiuterà, entro dati limiti. Si conferma quindi il ruolo della banca centrale come parafulmine ma anche salvagente di politici poco consapevoli e dai facili proclami.
Non è tuttavia interesse della Ue affondare il Regno Unito in una improbabile guerra commerciale, visti anche i numeri di interscambio in gioco; semmai per Bruxelles e le altre capitali è preferibile avere un Regno Unito intrappolato per anni nelle sabbie mobili della stagnazione causata dall’incertezza su tempi e modi dell’uscita. In quel caso, la capacità fiscale di Londra sarebbe fortemente limitata, e addio alle velleità sociali e redistributive del governo May.
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