A sportellate sul renzismo

Dall’aumento del deficit agli effetti del Jobs Act: la comunicazione prende sempre il sopravvento

di Mario Seminerio – Il Foglio

Il discorso di Matteo Renzi ai gruppi parlamentari del Pd è una orgogliosa rivendicazione delle cose fatte e di quelle da fare per portare il paese a tornare a quel ruolo di influenza e prestigio che secondo la nostra piccola vulgata nazionalistica dovrebbe competergli in Europa e nel mondo. Renzi è notoriamente molto abile nella comunicazione: si intesta successi che non sono tali e tende a vedere causalità dove c’è solo correlazione. Spesso si focalizza solo sui dati lordi e non sugli assai meno eclatanti dati netti, altre volte presenta previsioni come fossero fatti compiuti, ma solo se favorevoli e funzionali alla sua narrazione. Non è gravissimo: la politica è anche e soprattutto questo.

Quest’anno presenta una legge di Stabilità fatta ad esclusivo deficit ma rivendica che di deficit non si tratta, “perché siamo sotto il parametro di Maastricht”. E pazienza che il suo governo possa essere sotto quel parametro grazie, in ordine cronologico, ai governi che lo hanno preceduto ed all’azione di Mario Draghi, oltre ad un mega bonus come il dimezzamento del prezzo del greggio. Sono dettagli. Pazienza anche scordarsi che è durante le fasi di espansione che serve risanare la finanza pubblica, quindi è quanto meno bizzarro chiedere di aumentare il deficit strutturale mentre si celebra la ripresa. Persino il vecchio Keynes avrebbe avuto qualcosa da ridire, su una simile condotta.

Perché Renzi vuol dire fiducia: da rottamatore a custode della tranquillità degli italiani, martoriati da anni di traumi con la vendicativa realtà giunta a vandalizzare la Terra Promessa dalla politica. E’ una ripresa ciclica che produce lieve aumento di occupazione e riduzione di cassa integrazione ma per Renzi è il prodromo del Rinascimento ed il merito va al Jobs Act, che in realtà agisce su altro. Il rapporto di indebitamento sta scendendo ma quello è solo un numero scritto su una previsione, e con il quadro disinflazionistico che abbiamo di fronte dovremo essere più fortunati che bravi, per ottenere quel risultato. Ma in fondo la fortuna aiuta gli audaci, in giro per il mondo, e gli sfrontati in Italia.

I meno giovani ricorderanno un Bettino Craxi in forma letteralmente garibaldina proclamare che l’Italia era tornata protagonista nel mondo, contro gli “sfascisti” interni, i gufi della Prima repubblica. C’è da dire tuttavia che, con questa opposizione, Matteo Renzi è il meglio che possa capitare all’Italia. Forse per quello la nostra prognosi continua a non apparire rassicurante.

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Contributo apparso oggi sull’inserto del Foglio sul manifesto economico del presidente del Consiglio. Con commenti di Marco Gay (Presidente dei giovai imprenditori di Confindustria), Alberto Mingardi (direttore generale Istituto Bruno Leoni), Paolo Madron (direttore, Lettera43), Erik Jones (Direttore del dipartimento di Studi europei alla Johns Hopkins University SAIS), Domenico Lombardi (Direttore del programma di Economia globale al Centre for International Governance and Innovation), Andrea Tavecchio.


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