Cipro, sempre meno offshore, resta nell’euro. Monito per Malta e Lussemburgo?

di Mario Seminerio – Libertiamo

Ed alla fine, il salvataggio di Cipro e la “ristrutturazione” del suo ipertrofico sistema creditizio presero forma, dopo una settimana sprecata (a Cipro) in recriminazioni, voti contrari del parlamento, richieste inascoltate di aiuto alla Grande Madre Russia, ed altrettanto sdegno nell’opinione pubblica di parte dell’Eurozona, segnatamente in Italia, dove si continua a capire assai poco dell’intera vicenda e della proteiforme natura della crisi, ma dove ormai prevalgono pavloviani moti di sdegno contro l’Europa, anche quando dovrebbe apparire più o meno evidente che di soluzioni ottime non ne esistono. L’accordo di questa notte è una bozza di principio, e dovrà formare oggetto di un memorandum of understanding nel corso del mese di aprile. Da quanto si evince dalla dichiarazione dell’Eurogruppo, la cipriota Laiki Bank verrà divisa in una good bank e bad bank. Nella prima confluiranno tutti i depositi assicurati (cioè inferiori a 100.000 euro), e successivamente si avrà il conferimento di tale good bank a Bank of Cyprus. I depositanti non assicurati di Laiki (quelli con saldo superiore a 100.000 euro) perderanno tutto, mentre quelli di Bank of Cyprus perderanno l’eccedenza rispetto alla soglia assicurata, ed avranno in cambio azioni della banca, in quantità tale da permettere all’istituto di raggiungere la soglia del 9 per cento di capitale Tier 1. La ricapitalizzazione di Bank of Cyprus avverrà a spese di tutte le categorie di investitori (azionisti, obbligazionisti senior e subordinati, depositanti non assicurati), mentre saranno protetti solo i depositanti assicurati, per salvare forma e sostanza del principio di assicurazione dei depositi ribadito nella direttiva europea del 2009. Non è ancora chiaro quale sarà l’estensione dei controlli su capitali. Cosa cambia ora – L’ipertrofico sistema bancario cipriota verrà forzatamente ridimensionato, e con alta probabilità perderà il proprio status di centro finanziario offshore, di cui finora hanno beneficiato soprattutto i russi. In questi giorni, nella caccia agli errori della Ue, ci si è chiesti chi e perché abbia fatto entrare Cipro nell’Eurozona, nel 2004. La risposta esiste: è stata soprattutto la Grecia, ansiosa di mettere in sicurezza l’isola e togliere spazio di manovra ai turchi, occupanti di circa metà del territorio cipriota. Giova ricordare che Atene all’epoca minacciò il veto all’estensione ad Est dell’Eurozona, in caso Cipro non fosse stata fatta entrare nell’euro. Si è anche argomentato che, se i titoli di stato greci non fossero stati svalutati per volere della Troika, le banche cipriote non sarebbero saltate. Argomento fattualmente corretto, in termini di causa-effetto, ma altrettanto surreale a confronto con la realtà. Forse serviva evitare la svalutazione di titoli di stato di un paese che necessitava (e necessita) disperatamente di ridurre il proprio rapporto debito-Pil? Che faranno ora i russi? Non è chiaro, così come l’intera gestione della vicenda da parte di Mosca appare al momento poco comprensibile. Dapprima la minaccia (risibile) di Medvedev liberarsi delle riserve in euro, che sarebbe stata una autentica manna per l’Eurozona, regalandoci quella svalutazione della moneta unica agognata da tempo. Poi l’incomprensibile minaccia di disimpegno da Cipro in caso di revisione degli accordi di doppia imposizione. Ora si temono ritorsioni sulle forniture di gas all’Europa, ma quel gas i russi dovranno comunque venderlo a qualcuno. Su quali principi poggia l’accordo? Su quelli emersi di recente dal magma dello stato confusionale dell’Eurozona. Rimuovere il legame tra banche e debito sovrano e contenere l’esplosione del rapporto debito-Pil. Per ottenere questo risultato, e contemperare ad esigenze politiche nazionali (che esistono, e di questo occorre prendere atto, anche in proiezione futura), occorre che, affianco agli aiuti del “settore ufficiale” (la Troika) vi sia anche la condivisione dell’onere da parte del settore privato (burden sharing). E ciò è esattamente quanto è accaduto nel caso di Cipro, piaccia o meno. Non vi erano alternative. L’ultimo accordo corregge l’errore marchiano del governo cipriota e del presidente Anastasiades. Che, nel tentativo di minimizzare il danno per i grandi depositanti russi, si erano spinti a violare i depositi assicurati, per poi rimangiarsi l’accordo con il voto parlamentare. C’è ancora molto lavoro da fare. Serve, ad esempio, procedere con una disciplina comunitaria di risoluzione delle banche fallite, che specifichi la condivisione dell’onere tra le varie categorie di investitori. Un percorso lungo, quello della unione bancaria, doloroso e pieno di incognite e ritorni alla casella di partenza, ma un percorso ineludibile. In questo percorso verso un framework europeo di risoluzione delle banche fallite emerge anche una scomoda verità, per tutti i sostenitori della competizione fiscale entro un’unione economica e monetaria: non è ammissibile che singoli paesi possano fare ciò che credono con i propri sistemi bancari, a colpi di esenzioni d’imposta per attrarre capitali dal mondo. O meglio, sarà possibile ma solo entro limiti dimensionali meno eclatanti di quelli ciprioti, e sapendo che chi investe in tali sistemi bancari sarà esposto a prendersi eventuali perdite catastrofiche: avrà cioè, come dicono efficacemente gli anglosassoni, “skin in the game“. Si attendono quindi ricadute sui sistemi bancari lussemburghese e maltese, che dovranno correggere il proprio gigantismo rispetto alle dimensioni dell’economia nazionale. Nessuna uscita dall’euro, sinora. Pare che, giunti al momento dirimente, i dirigenti politici dei paesi in crisi acuta preferiscano la sofferenza nota della permanenza nell’euro a quella ignota della fuoriuscita dalla moneta unica. Occorre prenderne atto, pur considerando la nota razionalità assai limitata dei decisori politici. Quanto a noi italiani, potremo tranquillamente continuare a baloccarci con dibattiti sul nulla, come nella nostra migliore tradizione nazionale.


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