di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano
L’ultimo accordo tra Troika e Cipro, sempre che regga, rappresenta un momento di ulteriore discontinuità nella storia di questa infinita crisi di debito. Ma questa volta si è forse tratto qualche insegnamento dal passato, e non sono stati compiuti solo errori.
Contrariamente allo sdegno pressoché unanime con cui gli editorialisti italiani hanno accolto il salvataggio, l’intervento taglia alla radice il circolo vizioso tra debito sovrano e debito bancario, e lo fa proprio nel paese dell’Eurozona in cui il gigantismo delle banche appariva potenzialmente letale. Un salvataggio basato esclusivamente su denaro del fondo salva stati ESM, oltre ad essere enorme (perché pari al Pil cipriota) e politicamente indigesto per tutti i paesi creditori dell’Eurozona, avrebbe portato il rapporto debito-Pil di Nicosia con un tratto di penna a oltre il 150 per cento. Un simile valore, in un paese privato della propria maggior fonte di sostentamento (il settore bancario), sarebbe presto risultato insostenibile ed avrebbe fatalmente condotto ad una ristrutturazione, cioè ad una sua cancellazione, totale o parziale. Poiché il fondo ESM è garantito solidalmente da tutti i paesi dell’Eurozona, questo avrebbe comportato una perdita anche per i conti italiani, sino a 3,5 miliardi di euro. Cioè a circa un’Imu prima casa, la nuova unità di misura della politica italiana.
Riguardo la spalmatura dell’onere tra le varie classi di investitori, il nuovo accordo appare certamente più razionale e sensato del precedente, visto che gli azionisti delle banche coinvolte saranno spazzati via, ma con essi anche gli obbligazionisti, senior e subordinati, mentre i depositanti non assicurati, quelli oltre i 100.000 euro, subiranno decurtazioni stimate fino al 30 per cento, e riceveranno in cambio azioni delle banche salvate. Certamente più equa è anche la decisione di colpire i grandi depositanti delle banche in dissesto: noi italiani siamo rimasti scioccati ed indignati da questa vicenda perché siamo convinti che si tratti di un modo brutale per “mettere le mani in tasca” ai depositanti, ma scordiamo che i depositanti hanno beneficiato per anni di rendimenti molto elevati sui depositi detenuti presso le banche cipriote, e che non esistono pasti gratis. A maggior rendimento corrisponde maggiore rischio, è la dura legge degli investimenti, troppo spesso dimenticata negli ultimi anni. Con questo salvataggio si colpiscono singole istituzioni insolventi, non il sistema nella sua interezza. Sembra un sofisma, non lo è.
Sfortunatamente, neppure nel caso cipriota ci sarà un lieto fine. Il brutale ridimensionamento del più importante settore economico del paese causerà un crollo verticale del Pil, stimato a caldo tra il dieci ed il venti per cento. Con una simile depressione in atto, destinata fatalmente a scontrarsi con le misure aggiuntive di stretta fiscale, stimate attorno al 4-5 per cento di Pil, è fin troppo facile ipotizzare un’impennata “spontanea” del rapporto debito-Pil, ed un’alta probabilità di nuovi interventi di ristrutturazione del debito entro al massimo un paio d’anni, forse molto meno.
C’è poi la questione dei controlli di capitale per impedire che, alla riapertura delle banche, si verifichino imponenti deflussi di depositi di non residenti, che metterebbero rapidamente in ginocchio il “nuovo” sistema bancario cipriota e nei guai la Bce, che si troverebbe costretta a puntellare le banche cipriote in assenza di garanzie accettabili. Nel testo dell’accordo tra Cipro e l’Eurogruppo si parla di controlli sui capitali in senso di “misure amministrative”, e nei trattati europei ci sono margini per una lettura “creativa” del divieto di controlli sui capitali. Ma, se si avranno controlli sui capitali, Cipro diverrà una sorta di Islanda con l’euro, sommando il peggio dei due mondi. Cioè non potrà recuperare una moneta propria e svalutarla, e dovrà subire una profonda depressione e deflazione. Anche perché l’Islanda ha introdotto controlli sui capitali nel 2008 e prevede di mantenerli in essere almeno fino al 2015. Per ironia del destino (o meglio, dell’Eurozona) il rischio è che le fuoriuscite dall’euro avvengano con la creazione di tanti euro “locali”, ed un mercato mortalmente frammentato.
Ma non precorriamo i tempi. Per il momento i mercati non considerano contagioso il caso-Cipro ma penalizzano l’Italia per le dichiarazioni del presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, che ha dichiarato che la risoluzione cipriota può essere un modello per l’intero settore bancario europeo. Prima o poi sarà fatale discutere anche di questo.
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