La democrazia delle banche

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

Disastrosa accoglienza del “salvataggio” del sistema bancario spagnolo, deciso durante il weekend, con spread italiano e spagnolo alle stelle ed euro indebolito. I mercati prendono atto che non è possibile sollevarsi da terra tirandosi per le stringhe, e che i soldi dei fondi salvastati sono drammaticamente scarsi, rispetto alle dimensioni delle due economie mediterranee coinvolte, Italia e Spagna. In attesa del nuovo piano per avere un piano (e dell’ormai sempre più necessario intervento della Bce in modalità bazooka, pena il rovinoso crollo dell’intera costruzione), s’impongono alcune riflessioni sullo stato del capitalismo finanziario ai tempi della crisi.

A disposizione della Spagna ci sono fino a 100 miliardi di euro, il tasso non è ancora stato definito ma sarà, per usare le parole di un entusiasta Mariano Rajoy, “molto conveniente” rispetto all’indebitamento diretto sul mercato. Il quantum della linea di credito sarà la risultante del processo di revisione da parte delle due società private incaricate dal governo spagnolo di valutare lo stato dei crediti immobiliari, più un margine di sicurezza. Non sappiamo ancora se i fondi saranno erogati dall’EFSF o dall’ESM. I fondi erogati dal secondo sono sovraordinati ad ogni altro creditore (tranne l’FMI) nelle priorità di rimborso, mentre quelli del primo sono equiparati a quelli dei creditori ordinari. Gli aiuti andranno al FROB, il fondo per l”ordinata ristrutturazione bancaria” spagnola, e saranno quindi a tutti gli effetti debito sovrano di Madrid.

Quindi, se il paese non ricomincerà a crescere, il rapporto debito-Pil si autoalimenterà. Ma che forma prenderà l’intervento di ricapitalizzazione delle banche spagnole? Vedremo interventi sotto forma di aumento di capitale tramite azioni ordinarie o privilegiate? Nel primo caso l’azionariato preesistente viene fortemente diluito, nel secondo chi entra recita il ruolo del partner dormiente che si limita a metterci i soldi, senza disturbare il manovratore.

Le ricapitalizzazioni arriveranno dopo aver ridotto il valore nominale delle obbligazioni bancarie subordinate e, in caso, anche di quelle senior? Se la risposta è affermativa, avremo il primo tentativo di “democrazia capitalistica” compiuta, in cui cioè si rende esplicito che chi mette soldi in una banca si assume il rischio d’impresa e l’onere di fare i “compiti a casa” con tutto quello che ne consegue, limitando il massacro dei contribuenti a cui assistiamo da ormai tre anni. Se invece i creditori usciranno intonsi da questa esperienza, avremo posto le basi per una nuova “sindrome irlandese” e ci saremo limitati a prendere tempo.

Il governo irlandese, travolto da crediti immobiliari ammalorati, stava seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di un haircut (un taglio dei rimborsi) anche per gli obbligazionisti senior, ma la fortissima pressione della Bce di Jean-Claude Trichet ha fatto archiviare il piano e provocato l’esplosione di debito pubblico conseguente al salvataggio (con soldi dei contribuenti) del sistema bancario irlandese, ed il successivo intervento da parte della Troika.

Dubitiamo fortemente di un esito del primo tipo, anche perché ci troviamo nelle more di una riforma della vigilanza bancaria e del processo di ordinata risoluzione delle crisi bancarie transfrontaliere che dovrebbe prevedere l’emissione di appositi strumenti ibridi da parte delle banche, i contingent convertible bonds, che si trasformerebbero da debito a capitale azionario al deteriorarsi del profilo creditizio della banca sotto una soglia critica.

In attesa di vedere l’innovazione sostanziale dal lato della condivisione dell’onere del dissesto, sarà poi interessante verificare se ed in che modo la Ue metterà bocca e mani nella governance e nelle nomine dei vertici delle banche spagnole salvate, che finora sono state in larga parte un feudo della politica, ma oggi è già possibile una constatazione: Spagna e Irlanda hanno avuto un destino comune, partendo da basi simili: prima dello scoppio della bolla immobiliare i due paesi erano modelli di virtù fiscale, con deficit prossimi a zero o addirittura con avanzi di bilancio pubblico, ed un rapporto debito-Pil nettamente inferiore a quello tedesco. E già questo manda alle ortiche la tradizionale narrativa tedesca di una crisi prodotta da dissipatezza fiscale.

Entrambi i paesi avevano un sistema fiscale squilibrato dal lato delle imposte immobiliari, e lo scoppio della bolla ha fatto esplodere il deficit. Ma l’Irlanda era un modello internazionale di liberismo e buongoverno, mentre la Spagna aveva una forte politicizzazione del credito. Eppure, l’esito finale accomuna i due paesi. Ottima opportunità per togliersi le lenti ideologiche di facili letture e soluzioni alla crisi. Attendendo il bazooka, se non è troppo tardi.


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