di Andrea Gilli
La scorsa settimana l’Amm. Di Paola ha portato alle Camere la sua proposta di riforma del sistema di Difesa italiana. Commento brevemente la proposta (sulla base delle poche informazioni disponibili).
Nei mesi scorsi avevo sottolineato i dati centrali dell’attuale struttura: spesa eccessiva per personale, pochi investimenti, poca digitalizzazione.
La riforma di Di Paola va nella direzione corretta, portandoci appunto verso gli standard europei (ammesso che la riforma passi così).
Il punto centrale della riforma è la riduzione del personale, insieme alla chiusura di basi e caserme. La scelta non solo è condivisibile ma anche assolutamente necessaria. Nell’era della guerra net-centrica e tecnologica, l’Italia aveva una spesa per pensioni e stipendi assolutamente sproporzionata (70%). La correzione di Di Paola mira a portare questa quota a livello europeo (50%), toccando soprattutto gli altri gradi (generali, etc.) e la componente civile.
L’idea di investire in nuove tegnologie (ISTAR: intelligence, surveillance, target acquisition and recoinnassance) è altrettanto corretta: è la direzione che stanno prendendo tutti i Paesi sviluppati. Questa è coerente con la trasformazione delle forze armate di tutto il mondo in senso capital-intensive: si sfruttano superiorità informativa, fuoco di precisione e intelligence per massimizzare gli effetti della forza cinetica e minimizzare così i danni collaterali. Si pensi alla recente guerra in Libia: grazie a questi strumenti, le vittime civili causate dalla NATO sono state estremamente ridotte.
Parimenti, la scelta di ridurre sottomarini, carri armati e anche toccare l’F-35 mi pare fondamentalmente corretta, visto che – soprattutto nei primi due casi – questi servono poco le nostre necessità operative e strategiche. Dall’altra parte, la riduzione del numero di F-35 avrà effetti positivi sul bilancio (meno costi) senza toccare eccessivamente le nostre capacità operative: vengono mantenuti gli F-35 per la portaerei Cavour, e il numero totale di aerei è sufficiente a garantire l’operatività.
Cosa manca?
Una premessa è d’obbligo: non ho letto la proposta di Di Paola. Francamente non so neppure se è disponibile on-line. Ho fatto un po’ di ricerca ma non ho trovato niente. Da quello che ho letto sulla stampa, tre questioni mi sembrano ancora aperte.
In primo luogo, l’arruolamento. La focalizzazione su alte tecnologie richiede personale altamente qualificato con competenze ingegneristiche e informatiche difficili da reperire sul mercato. Sarebbe interessante capire se e come il Ministero pensa di trovare questa forza lavoro, quando in Italia è già abbastanza carente.
Il secondo elemento che mi pare parzialmente scoperto sono i mezzi senza pilota (gli UAV). Questi appartengono alla categoria ISTAR. Sarebbe però interessante capire la prospettiva del Ministero, specie quando le evoluzioni in questo campo sono drammatiche.
Il terzo elemento riguarda la globalizzazione dell’industria dell’industria della difesa. La scorsa settimana, Ashton Carter (vice-Segretario alla Difesa USA), parlando all’Atlantic Council di Washigton, ha affermato che gli USA devono comprare di più dall’Europa per sfruttare le nicchie tecnologiche disponibili (così da ottenere capacità militari senza gravare eccessivamente sul bilancio). Anche su questo punto mi pare che un chiarimento sia prima o poi necessario.
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