Il fuoco sotto la liquidità

La crisi del debito si cronicizza, quella politica della Ue pure

di Mario Seminerio – Libertiamo

L’ennesimo Consiglio europeo, l’ennesima messa a punto di nuove regole “comuni” per uscire dalla crisi. La realtà è che i problemi resteranno largamente irrisolti, pur se attenuati dalla vigorosa azione della Banca centrale europea ed in attesa di un impulso di crescita, probabilmente importata da fuori Eurozona.

Oltre a specificare le modalità di incorporazione dell’equilibrio di bilancio pubblico nelle costituzioni o in “leggi fondamentali” equivalenti, il vertice dovrà dirimere le modalità di rientro del debito pubblico, inizialmente previste in modalità lineare, pari ogni anno ad un ventesimo dell’eccedenza del rapporto debito-Pil rispetto alla mai rispettata soglia di Maastricht del 60 per cento. Ma in queste ore sta emergendo (o riemergendo) con forza il convitato di pietra di tutti gli eurovertici, evocato dall’avvitamento infinito della crisi greca: quali modalità di enforcement per ottenere il rispetto delle prescrizioni di rientro, nei casi più gravi?

Un documento tedesco, la cui autenticità non risulta ufficialmente smentita, circolato negli ultimi giorni a margine dei negoziati tra governo di Atene, Troika e creditori privati sull’haircut da applicare al debito pubblico greco, prevede che il secondo pacchetto di aiuti, deciso lo scorso ottobre e quantificato in 130 miliardi di euro, sia condizionato alla nomina di un “commissario al bilancio” per l’Eurozona, che possa mettere il veto alle decisioni del governo greco in materia di bilancio, in caso di deragliamento del programma di “risanamento”.

Il caso greco è una miscela esplosiva di errori di politica economica nella scelta degli strumenti di consolidamento fiscale, ma anche di neghittosità delle autorità del paese ad applicare alla lettera misure che sprofonderebbero il paese in una depressione ancor più profonda dell’attuale. Il nodo politico risiede proprio nella difficoltà ad identificare quale parte dello scostamento rispetto alle previsioni sia imputabile all’applicazione limitata e parziale delle misure fiscali, e quanta sia invece frutto di un circolo vizioso fatto di austerità che causa depressione, che causa nuovi buchi di bilancio. Per i tedeschi non c’è alcun dilemma, e la risposta è netta: occorre “guidare” il governo greco nel percorso di consolidamento con mano fermissima, fino a ricorrere ad un commissario che possa porre il veto a decisioni di bilancio pubblico da parte del governo di Atene che non siano in linea con gli obiettivi dei creditori pubblici internazionali.

Non solo: l’iniziativa tedesca appare mirata ad evitare ad ogni costo un default greco anche spingendosi ad ipotesi estreme, come l’imposizione di tagli di spesa pubblica corrente in caso di mancata erogazione di una rata di aiuti, per violazione delle condizioni imposte. Il gettito fiscale verrebbe inoltre dirottato, in via prioritaria, al servizio del debito. Al paese sarebbe quindi negata la possibilità di “rifugiarsi” in un default.

Nonostante la sconfessione di questa iniziativa da parte della Commissione europea, dopo l’ondata di sdegno in Grecia, il tema dell’applicazione rigorosa delle condizionalità all’erogazione di aiuti è destinata ad aleggiare sui lavori di redazione del fiscal compact. Anche dal caso specifico della Grecia, a cui a breve si aggiungerà il diligente Portogallo, che sta per essere travolto dal debito delle società pubbliche che i mercati rifiutano di rinnovare, oltre che da dinamiche di scostamento rispetto agli obiettivi di consolidamento fiscale che sono indotte dalla magnitudine della stretta attuata.

Che accadrà, quindi? Nel fiscal compact la cessione di sovranità fiscale sarà spinta fino al commissariamento di governi e parlamenti? E’ probabile che a questo giro ciò non accadrà, ma il problema verrà riproposto con forza dai tedeschi nelle prossime settimane e mesi, quando la crisi di Grecia e Portogallo si sarà ulteriormente aggravata. Serviranno referendum nazionali, per imporre misure così drastiche e di formale (oltre che sostanziale) sospensione della democrazia? Che accadrà quando (non se) tali referendum vedranno la massiccia vittoria dei no? I paesi contrari continueranno ad usare l’euro o verrà creato un nuovo trattato che codifichi l’espulsione dalla moneta unica? Come si nota, ogni tentativo di risoluzione del problema causa l’insorgere di una pluralità di altri.

E mentre la politica europea gioca con fiammiferi e benzina, illudendosi di star disegnando la road map che ci porterà fuori dalla crisi, la tecnostruttura della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi ha contribuito in modo decisivo a far scendere la febbre, con la maxi operazione di fornitura di liquidità triennale del 21 dicembre scorso a favore delle banche, che sarà seguita da altra identica il prossimo 29 febbraio. Con questa operazione è stato praticamente impedito agli intermediari creditizi di diventare insolventi, ponendoli  a galleggiare in un oceano di liquidità. Come ha commentato giorni addietro un addetto ai lavori, con questa misura persino Bernie Madoff sarebbe riuscito a rimanere solvibile ad oltranza.

L’effetto collaterale immediato dell’operazione è stato un vigoroso ritorno della domanda sul debito a breve termine, sia quello pubblico che quello delle banche, tornate a beneficiare, sia pure con le cautele del caso, del denaro dei fondi monetari statunitensi, che avevano abbandonato l’Eurozona nell’ultimo trimestre dello scorso anno. La benefica alta marea si è poi estesa ai paesi in difficoltà ma non ancora in assistenza, quali Italia e Spagna, bloccando ed invertendo di fatto il deterioramento del loro merito di credito e lambendo anche la parte lunga della curva dei rendimenti, abbassando lo spread a livelli meno drammatici ma pur sempre indicativi di un profondo squilibrio.

Che accadrà, quindi, ora? Che il fiscal compact verrà solennemente redatto e sottoscritto, ma non servirà a nulla in assenza di cessione completa di sovranità fiscale nazionale (e forse neppure in quel caso); l’insufficienza di risorse del fondo salva-stati resterà al centro del dibattito comunitario; gli squilibri rimarranno in essere ma tenderanno a “cronicizzarsi” per effetto della poderosa azione della Bce, che opera rigorosamente entro la cornice del proprio statuto. Mario Draghi non ha peraltro dato fondo alle armi di cui dispone: se le pressioni deflazionistiche (in varia forma e modalità) dovessero prendere corpo, il presidente dell’Eurotower potrà utilizzare tutta la propria indiscutibile sapienza tecnocratica ed abilità politica per mettere mano ad una “opzione nucleare” anche sul debito sovrano, sia pure senza favoritismi formali al nostro paese.

L’eurocrisi verrà contenuta (cronicizzata, appunto), in attesa dell'”evento di crescita” che ne attenui ulteriormente l’acuzie, senza dimenticare che oggi non ci troveremmo in questa situazione se la gestione del sentiero di rientro dal deficit non fossa stata imposta dai tedeschi secondo tempistiche ferocemente pro-cicliche, frutto di una lettura del tutto erronea delle radici della crisi. Partorire una unione politico-fiscale vera, partendo da una unione monetaria, è molto doloroso e ad alto rischio di interruzioni più o meno spontanee di gravidanza. Ammesso e non concesso che esista realmente la volontà di giungere ad un esito simile.

Il “problema”, quindi, rimarrà ancora per molti anni (e parlamenti) a venire, condizionando e vincolando (soprattutto da noi) il querulo chiacchiericcio noto come “dibattito politico”.


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