di Mario Seminerio – Il Tempo
La fine dell’anno rappresenta da sempre un momento in cui la liquidità dei mercati tende ad evaporare. Trader e gestori hanno ormai completato il proprio lavoro e tirano i remi in barca, senza assumere nuove posizioni. Che l’anno sia andato bene o male, già ad inizio dicembre di solito si chiudono i libri e ci si prepara per andare in vacanza: terminali spenti, se ne riparla dopo l’Epifania. Il tradizionale torpore di fine anno non viene scosso praticamente da nulla.
Eppure quest’anno ci sarebbero forti motivi di preoccupazione: c’è una profonda crisi di fiducia che investe l’Eurozona, amplificata da una serie di errori capitali da parte delle autorità europee e della leadership tedesca, che sta sbagliando sistematicamente a leggere la radice della crisi, imputandola ad un presunto lassismo fiscale che, nel caso di alcuni paesi (come Spagna ed Irlanda) semplicemente non è mai esistito.
All’Eurozona è stato imposto un percorso di austerità violento e concentrato nel tempo, che è il primo nemico delle riforme, contrariamente a quanto pensano molti commentatori di casa nostra, che si illudono che la pressione esterna possa trasformare l’Italia in un paese a bassa incidenza del fisco e con una spesa pubblica leggera ed efficiente. Ed è proprio questa commedia degli equivoci che i mercati hanno smascherato, vendendo titoli del paese più vulnerabile, perché privo di crescita da moltissimo tempo e con un elevato rapporto debito-Pil.
Il progressivo allargamento dello spread tra Btp e Bund è figlio di questa contingenza: mercati assai poco liquidi per motivi di stagionalità, e pressione di vendita che non si arresta. Se a questo aggiungiamo che questa settimana abbiamo un importante collocamento di titoli di stato, ecco che il cerchio si chiude. Le analisi politiche tendono ad essere molto, troppo semplificate: lo spread si allarga, ergo il governo ha fallito. Fosse così semplice. Se è innegabile che la manovra applica al sistema economico del paese una pressione fiscale aggiuntiva che rischia di rivelarsi fatale, è altresì vero che l’emergenza ed i tempi di risposta drammaticamente ristretti non avrebbero consentito grandi alternative, nell’immediato. Se è vero che servono riforme di struttura per rilanciare la crescita potenziale è altresì vero che, in assenza di crescita globale e con una stretta fiscale in corso, pensare che il nostro paese riesca a crescere da solo ricorda molto la storia del Barone di Munchausen, che si sollevava da terra tirandosi per le stringhe delle scarpe. Eppure, fateci caso: tutto il nostro dibattito pubblico, che mai ha brillato per profondità analitica, si regge su queste causalità spesso fantasiose.
Quando l’avversione al rischio aumenta, i compratori spariscono: i rendimenti e gli spread aumentano, gli investitori si prendono paura e nel dubbio liquidano. Ed ecco che, malgrado l’avanzo primario, l’Italia viene risucchiata nel gorgo delle profezie che si autoavverano: era un problema di liquidità, sta diventando un problema di solvibilità. Per questo l’esecutivo deve procedere con le riforme ma al contempo fare sentire la propria voce in Europa: legare l’ineludibile percorso di risanamento fiscale alla fase del ciclo economico. Nel corso del 2012 diverrà evidente che la gravità della recessione impedirà di rispettare la tabella di marcia del consolidamento fiscale. Ma serve anche che il nostro paese ottenga una contropartita all’imponente sforzo di risanamento, in termini di creazione di una “riserva di munizioni” per il nostro debito pubblico, in asta. Diversamente, neppure un esproprio dei beni patrimoniali degli italiani servirà a far tornare gli investitori.
Nei giorni scorsi il capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, ha scritto sul blog della sua istituzione sui rischi che “gli effetti congiunti di consolidamento fiscale e minore crescita implicita portino alla fine ad un aumento e non ad una riduzione negli spread di rischio sui bond governativi. Nella misura in cui sentono di dover rispondere ai mercati, i governi possono essere indotti a consolidare troppo rapidamente, anche dal punto di vista della sostenibilità del debito”
Il concetto sta arrivando anche al bastione dell’ortodossia economica occidentale. Se solo arrivasse anche a Berlino potremmo sperare di risanare il nostro paese dalle fondamenta, senza essere travolti da un dissesto che avrebbe effetti simili a quelli di una guerra.
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