di Mario Seminerio – Linkiesta
Nella manovra rispunta la tassa sulle compravendite mobiliari. I fondi comuni operanti in Italia saranno esentati, ma la misura fiscale avrà effetti devastanti sugli operatori italiani e finirà per favorire il trasferimento all’estero delle attività di negoziazione, “svuotando” Piazza Affari.
All’interno della manovra di consolidamento della finanza pubblica decisa dal governo, è previsto il ritorno del vecchio fissato bollato, una tassa sulle compravendite di valori mobiliari che dovrebbe essere fissata nella misura dell’1,5 per mille a transazione. Il vecchio fissato bollato era stato eliminato definitivamente nel 2007, al termine di un processo di dismissione avviato con la riforma Visco del 1997.
Ora, torniamo all’antico. Fin troppo facile prevedere l’esito di questa ennesima levata d’ingegno del ministro Tremonti: i fondi comuni operanti in Italia saranno esentati, perché la misura determinerebbe autentiche devastazioni alle performance di tali strumenti finanziari. In difetto, è ampiamente prevedibile il completo spostamento dell’attività di intemediazione dei fondi presso proprie controllate non residenti (Irlanda e Lussemburgo), cosa che peraltro avviene già oggi, in misura rilevante. Analogo provvedimento è prevedibile per la movimentazione di portafoglio dei fondi pensione.
Ad essere incisi dall’imposta sarebbero, quindi, gli home trader e gli scalper da salotto, i quali troverebbero rapidamente modo per spostare la propria attività presso intermediari non residenti, avendo come unico onere la segnalazione nel quadro RW (nella voce di attività finanziarie all’estero) della dichiarazione dei redditi delle proprie consistenze e movimentazioni estere. L’intera misura verrebbe quindi svuotata alla radice e produrrebbe un gettito del tutto risibile, a meno di ipotizzare che le segnalazioni in quadro RW siano propedeutiche all’applicazione, a stretto giro, di una qualche forma di patrimoniale. Tra gli altri danni collaterali, avremo la chiusura delle sim di intermediazione. Chissà di quanto calerà il gettito, fuori da una prospettiva statica che i nostri alchimisti fiscali governativi continuano a privilegiare per sentirsi rassicurati circa la loro abilità di tappare i buchi.
In effetti qualcuno deve avere pensato che, dati i volumi intermediati in Italia, una tassa di questo tipo avrebbe permesso non solo di raggiungere il pareggio di bilancio, ma anche di ripagare lo stock di debito. Altro punto che ha suscitato l’interesse di una stampa distratta, oltre alla celeberrima «tassa sui Suv» di ispirazione peronista, è il prelievo del 35% sulla gestione delle attività finanziarie detenute e negoziate da banche e intermediari, in pratica sul trading proprietario. La misura, che viola clamorosamente il principio di non irretroattività dell’imposizione fiscale, esclude le negoziazioni in titoli di Stato, in obbligazioni e fondi comuni di investimento. In pratica, il governo dice alle banche: signori, potete fare trading proprietario sui Btp, e con tutta probabilità anche sui derivati ad essi riferibili (futures, opzioni, anche Interest Rates Swap, essendo questo strumento funzionale alla gestione del rischio di tasso d’interesse).
In questo modo, le banche continueranno a sostenere (nell’intendimento del Tesoro) i titoli di stato italiani. Ecco quindi un’altra forma di financial repression, la procedura con cui un governo indirizza i flussi di investimento verso determinate attività finanziarie, distorcendo i mercati. Questa misura fa il paio con l’aumento della cedolare secca sul risparmio al 20 per cento, con esclusione dei soliti titoli di stato, sempre per distorcere le decisioni di investimento ed agevolare il classamento del nostro deficit. È probabile che assisteremo, nei prossimi giorni, ad alcune giustificazioni «ideologiche» a queste misure. Come ad esempio il fatto che esse rappresenterebbero l’avanguardia della Tobin Tax ed una misura «punitiva» nei confronti della malvagia speculazione bancaria. Nulla di più falso, ovviamente, visto che una sorta di Tobin Tax è stata effettivamente proposta dalla Commissione Ue per esigenze di finanziamento del bilancio comunitario, ma ha probabilità di realizzazione pressoché nulle, e comunque nulla c’entra con misure estemporanee e disfunzionali come quelle partorite dal nostro esecutivo.
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