Vade retro Bruxelles: Tremonti esorcizza ma non scongiura il ‘rischio patrimoniale’

di Mario Seminerio – Libertiamo

Ancora una volta, un meeting internazionale (questa volta quello del G20) ha prodotto un comunicato di quattro pagine, sul quale hanno indefessamente lavorato per tre giorni e tre notti le delegazioni dei paesi partecipanti, nel quale ci si dice sostanzialmente d’accordo su quali saranno i criteri su cui cercare un accordo…al prossimo meeting!

Leggere per credere:

«Per completare il lavoro richiesto per il primo passo, il nostro obiettivo è di accordarci, entro il nostro prossimo incontro di aprile, su linee guida indicative rispetto alle quali questi indicatori saranno valutati, riconoscendo il bisogno di tenere in considerazione circostanze nazionali o regionali, inclusi i grandi produttori di materie prime»

Ed anche questa volta, come da attese, i comunicati di soddisfazione si sono sprecati. Il nostro paese, in questa diluizione semantica, porta a casa (forse) il principio che debito e risparmio privato dovrebbero essere tenuti in considerazione, nella prevenzione degli squilibri macroeconomici. Ma il comunicato finale del G20, così ricco di subordinate, congiunzioni e cautela diplomatica è praticamente inutilizzabile sul piano operativo, visto da vicino. In particolare, il paragrafo finale, corsivi nostri:

Pur non essendo degli obiettivi, queste linee guida indicative saranno usate per valutare i seguenti indicatori: i) debito pubblico e deficit fiscali; e risparmi privati e debito privato ii) e lo squilibrio esterno composto da saldo commerciale e flussi di reddito netto da investimenti e trasferimenti, tenendo nella dovuta considerazione il tasso di cambio e politiche fiscali, monetarie ed altro.

La traduzione è fedele, l’utilizzo delle congiunzioni è massivo, la cautela regna sovrana. Si è deciso di non decidere, rinviando al prossimo G20 la fissazione di ulteriori regole. Tanto rumor per nulla. Ma c’è anche spazio per il grottesco: visto che la Cina rifiutava recisamente la possibilità che il comunicato finale contenesse riferimenti al saldo delle partite correnti (dove il surplus di Pechino è massiccio), il testo è stato emendato per fare riferimento, come visto sopra, a “saldo commerciale e flussi di reddito netto da investimenti e trasferimenti”. Che altro non è se non la definizione del saldo delle partite correnti. Ogni commento è superfluo.

Una considerazione sullo sbandierato criterio che suggerisce di considerare la sostenibilità macroeconomica di un paese anche in base a risparmio e debito privato. Si è più volte detto (lo ha fatto anche il premier, di recente) che gli italiani sono “ricchi”, che hanno elevato risparmio ed elevata ricchezza. Non è chiaro cosa questo ragionamento sottintenda. Infatti, se l’elevato tasso di risparmio italiano (che è tuttavia in un trend di medio-lungo termine apparentemente calante, per motivi demografici e per le pessime condizioni del mercato del lavoro) viene immaginato come il puntello della possibilità di sottoscrivere titoli del nostro debito pubblico, questa è un’affermazione fallace, visto che circa metà del nostro debito pubblico è in mano a non residenti. Se questi ultimi smettessero di sottoscrivere Btp e Bot, saremmo in guai molto seri. Ma soprattutto, senza crescita non si producono le risorse fiscali ordinarie necessarie per rimborsare il debito e restare solvibili, e si apre la strada ad interventi di finanza pubblica straordinaria, leggasi patrimoniale.

La considerazione del risparmio privato e dello stock di debito detenuto dai privati ha valore ancillare e preventivo rispetto alla sostenibilità dello stock di debito pubblico. Ancillare perché le risorse per servire il debito pubblico devono comunque venire dalla gestione “ordinaria” dei conti pubblici (cioè dall’equilibrio tra entrate fiscali ordinarie e spesa pubblica); preventivo perché la presenza di elevato debito privato in un paese è certamente un campanello d’allarme riguardo ai conti pubblici, che in caso di crack privati rischiano di dover sopportare un onere molto pesante, come dimostra quanto accaduto in Usa, Regno Unito, Spagna e Irlanda. Ma questo criterio nulla ci dice e nulla può rispetto all’obiettivo di ridurre il rapporto debito-Pil, che è sfida di risanamento futuro.

Sappiamo che Giulio Tremonti ha disperato bisogno di far passare un criterio ibrido di debito pubblico e privato per disinnescare, in sede europea, il rischio che al nostro paese venga richiesta una correzione annua dei conti pubblici tale da tagliare, ogni anno e per i prossimi vent’anni, circa il 3 per cento del rapporto debito-Pil, obiettivo che, allo stato attuale, è del tutto irrealizzabile in assenza di una patrimoniale straordinaria. Il trionfalismo per gli esiti del G20 è fuori luogo, quindi. Possiamo solo aspettare e sperare nella clemenza della corte, cioè nell’ennesimo compromesso europeo.


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