di Andrea Gilli
In questo articolo riassumo brevemente alcuni sviluppi recenti in Libia.
Sappiamo che il regime ha usato l’aviazione per colpire i ribelli. A proposito, due elementi spiccano. L’aviazione è la parte del regime libico più legata a Gheddafi. Infatti, è in questa struttura che il regime libico ha inserito tutti gli elementi più fedeli. A riguardo, è interessante notare come ci siano state delle defezioni proprio nell’aeronautica militare. Cio’ suggerisce una forte spaccatura all’interno del regime.
Quest’impressione è confermata dalla defezione di molti ambasciatori libici in giro per il mondo, incluse le Nazioni Unite. In un regime come quello libico, chi diventa ambasciatore lo deve unicamente a legami con il vertice politico. Se quindi lascia, è perché ha capito che la fine del regime è oramai vicina.
I ribelli hanno preso gran parte delle città secondarie. I bombardamenti di ieri sono infatti serviti a distruggere postazioni militari che – se cadute in mano ai rivoltosi – avrebbero potuto cambiare in maniera significativa il rapporto di forze interne al Paese.
Vista la struttura etnica, la scarsa base popolare e la natura claptocratica del regime libico, non è difficile capire come questo sia poco amato dalla popolazione. Ciò però suggerisce uno sviluppo preoccupante: come Saddam in Iraq, Gheddafi ha tutto da perdere. Dunque questi, e i suoi compari, combatteranno fino alla fine. Inoltre, Gheddafi avendo ben pochi amici sia in Medio Oriente che nel resto del mondo, può difficilmente sperare in un esilio più o meno dorato.
Paradossalmente, dunque, se si vuole evitare che le violenze continuino, è necessario intervenire per offrire una protezione a Gheddafi. Ovviamente, c’è un’altra alternativa: si potrebbe colpire le capacità aeronautiche libiche. Non è neppure necessario distruggere la flotta, basterebbe colpire gli aeroporti. Per una tale operazione sarebbe però fondamentale l’intervento americano. La sua Sesta Flotta nel Mediterraneo potrebbe intervenire senza problemi. Su quanto gli Stati Uniti siano disposti ad agire è lecito avere dei dubbi, per le comprensibili ripercussioni politiche e diplomatiche e, soprattutto, per il punto interrogativo che ciò aprirebbe verso il futuro.
L’ultima questione riguarda il petrolio: la Libia produce l’1% della produzione mondiale. Se questa dovesse venire meno, l’Arabia Saudita potrebbe facilmente coprire l’offerta mancante. Il problema è piuttosto un altro: se le proteste si dovessero spostare in Arabia Saudita, cosa succedera’?
Scopri di più da Epistemes
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.