Alcune riflessioni sugli avvenimenti in Tunisia

di Mauro Gilli

La situazione in Tunisia è in constante cambiamento. Dopo la decisione del presidente Zine El-Abidine Ben Alì di lasciare il paese, trasferendo i poteri presidenziali al primo ministro Mohamed Ghannouchi, quest’ultimo ha a sua volta passato lo scettro al presidente del parlamento. In questo contesto è difficile fare previsioni su quali saranno gli sviluppi successivi. E’ possibile, però, riflettere sulle cause che hanno portato un dittatore ad abbandonare il suo paese, e su quelle che non hanno giocato alcun ruolo.

La rivolta è partita per motivi materiali tanto banali quanto importanti: l’alto prezzo di alcuni generi alimentari e le scarse opportunità per una popolazione giovanile in constante crescita e con un crescente livello di educazione – proprio come Samuel Huntington aveva spiegato nel suo Political Order in Changing Societies. Questi motivi hanno permesso alle masse di superare il “collective action problem” che ogni rivolta si trova a dover superare: i vantaggi della protesta vengono condivisi da tutti, anche da chi non vi partecipa, mentre i costi (essere arrestati o addirittura uccisi durante gli scontri) se li sobbarcano soltanto quelli che scendono in piazza.

Cosa ha permesso ai tunisini di vincere la prima battaglia, costringendo il presidente addirittura a lasciare il paese? La risposta è semplice: la loro forza relativa. I numeri sono dalla parte dei manifestanti. Più del 40% della popolazione ha meno di 30 anni. In più, senza vaste risorse naturali, il modello “Saddam Hussein” non era un’opzione: non è possibile comprare quella parte dell’amministrazione pubblica necessaria per tenere il resto del paese sotto scacco. Nessun autocrate può mettersi contro metà del paese, senza avere i mezzi per farlo. Infine, la Tunisia non è un paese a sovranità limitata (come il Libano o la Bielorussia) e non è nella sfera di influenza di alcuna grande potenza (diversamente dall’Arabia Saudita, per esempio). Quindi, cacciato Ben Alì, i manifestanti non si sono trovati a dover lottare contro alcuna forza straniera. Questo spiega, in modo molto semplice, perchè la rivolta in Tunisia ha avuto un iniziale successo.

Questo è forse l’aspetto più interessante e politicamente rilevante di tutta la vicenda. Con buona pace per le manie di protagonismo delle élites europee e americana quando si tratta di promozione della democrazia, la rivolta in Tunisia è iniziata in modo autonomo, e si è sostenuta autonomamente. Non c’è stato alcun premio Nobel per la pace assegnato ad un oppositore politico a far scatenare le manifestazioni. Non c’è stata alcuna pressione internazionale a innescare l’incendio, né da parte di stati né da parte di organizzazioni internazionali come l’ONU. Lo stesso si può dire per le organizzazioni non-governative come Human Rights Watch, Amnesty International e via dicendo: questi sono i grandi assenti degli avvenimenti di Tunisi.

Diversamente da quanto sembra suggerire Marta Dassù – alla quale sembrano sfuggire le cause e le conseguenze di quanto sta avvenendo – il dato importante da trarre è proprio la mancanza di interferenza occidentale: i tunisini si sono liberati da soli, non solo malgrado la mancanza di interferenza occidentale, ma per via della mancanza di interferenza occidentale! In Tunisia non ci sono truppe straniere a garantire che la situazione non degeneri ulteriormente in una guerra civile hobbesiana. Ciò è particolarmente importante per due motivi. In primo luogo, le forze reazionarie non hanno potuto accusare eventuali “forze oscure” per i problemi del paese, la violenza e la morte. In secondo, se la piazza riuscirà ad imporre un sistema più aperto e democratico, questo non dovrà la sua esistenza al supporto esterno. Sarà, in altri termini, una pianta che vive di linfa propria. I tunisini hanno vinto la prima battaglia perchè i numeri sono dalla loro parte. Ci auguriamo tutti che possano riuscire a vincere anche la guerra.

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2 risposte a “Alcune riflessioni sugli avvenimenti in Tunisia”

  1. Avatar marco boninu
    marco boninu

    Mauro,

    alcune domande. Ho letto dei rischi che l’opposizione islamista prenda il sopravvento in caso di libere elezioni… le mie domande sono:

    1) Esiste un movimento islamista di un qualche rilievo in Tunisia?

    2) La società è sensibile a quel genere di predicazione politica o religiosa?

    3) esiste per la Tunisia un rischio che si verifichi una sorta di guerra civile come in Algeria nei primi a metà degli anni ’90?

    Te lo chiedo perché non hai espressamente menzionato la possibile rinascita di movimenti politici di tipo islamico.

    Grazie.

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  2. Avatar Mauro Gilli
    Mauro Gilli

    Marco,

    è difficile rispondere alle tue domande… In modo parziale posso dire:

    1) sì, esiste un movimento islamista. Che sia “di qualche rilievo” è difficile dire. Lo scopriremo presto, però.

    2) Certamente lo è. Ma non esiste una predisposizione “naturale” a quel genere di predicazione politica o religiosa. Spesso i movimenti islamisti (vedi in Somalia) godono della semplicità del messaggio. La loro “narrative” (il modo in cui presentano uno scontro) fa presa su parte della popolazione, più che – ad esempio – discorsi di classe, razza, globalizzazione, etc.
    Per la Tunisia, credo che il tutto sia in movimento. L’assenza di truppe straniere, da questo punto di vista, limita il potere degli islamisti. E’ molto più difficile raccogliere il consenso, se non c’è un “nemico esterno” da combattere. Però, ripeto, la situazione è in costante movimento (come lo era nel 2003-2005 in Iraq), quindi fare previsioni è difficile.

    3) anche su questo punto: la risposta è difficile. Il rischio sicuramente esiste, ma un esito come quello algerino mi sembra meno probabile di altri Le guerre civili non nascono “out of the blue”. Ci sono quando non c’è una forza in grado di mantenere l’ordine. Fino a questo momento, l’esercito sembra aver impedito la guerra di tutti contro tutti. E il caos non sembra ancora scoppiato. Molto dipende come i vari gruppi interni si posizionano, se l’esercito si spacca, etc. In sostanza. Se il rapporto di forza rimane non bilanciato, la guerra civile sarà difficile.

    Per quanto molto “tentative”, questo è il meglio che potevo rispondere.
    A presto
    Mauro

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