di Andrea Gilli
Sull’attacco d’artiglieria iniziato ieri dalla Corea del Nord contro la Corea del Sud è ancora presto per dare spiegazioni definitive. In questo breve post cerco di ragionare sull’accaduto. In primo luogo, bisogna considerare che il Paese è particolarmente arretrato, retto da una burocrazia sclerotica e inefficiente, e quindi non si può escludere che la lettura che i policy-makers nordcoreani danno della politica internazionale sia fondamentalmente deviata, sviata e viziata.
Non c’è modo di sapere se questa prospettiva è corretta oppure no. Pertanto, conviene considerarne altre. In particolare, oltre ad uno sguardo all’organizzazione interna del paese conviene spostare il livello della nostra analisi, e concentrarsi sulla leadership nordcoreana. A livello di personalità, è ovvio che la complessa (per usare un eufemismo) personalità di Kim Jong-Il pesa (a proposito, si veda Saunders, 2009). Poiché il Paese si sta preparando alla transizione (a favore del figlio del Supremo Leader) non è da escludere che queste tensioni verso l’esterno servano a smorzare delle frizioni all’interno.
Alternativamente, si può guardare in chiave sistemica. Solo pochi giorni fa è stato scoperto un nuovo reattore nucleare in Corea del Nord. Non è da escludere che questa prova di forza serva per sedersi con una posizione diversa al tavolo delle trattative. Ricordiamoci: la Corea del Nord è un lazzaretto a cielo aperto. Senza gli aiuti internazionali, la popolazione morirebbe di fame.
Dove stia la verità è impossibile dirlo. Di sicuro, l’attacco con artiglieria suggerisce una certa razionalità. La Corea del Nord non ha attaccato via terra il Sud. Non ha usato la forza aerea. Soprattutto, ha adottato un mezzo che fa molto rumore ma senza in realtà fare molti danni reali.
Vedremo in futuro cosa succederà. Ciò che è certo è che questi sono colpi di coda di un regime a pezzi. Bisogna però capire quanti colpi dovremo ancora contare…
In primo luogo, per chi volesse ulteriori analisi, il sito di Stratfor è un’ottima fonte. In secondo luogo, questo recente paper di Byman e Lind (2009) sulle strategie volte al mantenimento del potere in Corea del Nord sembra cadere a pennello.
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