Il rigore tedesco che minaccia l’Italia

di Mario Seminerio – Il Fatto Quotidiano

Nei giorni scorsi, a seguito delle pressioni franco-tedesche, i ventisette membri dell’Unione europea hanno accettato di emendare il Trattato di Lisbona per rendere permanente il Fondo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria (che oggi ha scadenza al 2013), e di prevedere una “procedura ordinata” di ristrutturazione del debito pubblico degli stati della zona Euro. E proprio queste decisioni rischiano di innescare un fenomeno tellurico entro l’Eurozona, di cui anche il nostro paese potrebbe fare le spese.

Come noto, quale contropartita alla creazione del Fondo di stabilizzazione, lo scorso maggio, la Germania ha ottenuto un rafforzamento del Patto di Stabilità. Per Parigi, tuttavia, il carattere automatico delle sanzioni è apparso da subito inaccettabile perché, per i francesi, l’ultima parola deve necessariamente spettare alla politica. Il compromesso prevede quindi che le sanzioni vengano imposte in due tempi: Il Consiglio dei ministri delle Finanze, su proposta della Commissione, deciderà a maggioranza qualificata che uno stato non ha preso, entro sei mesi, le misure correttive necessarie per rientrare nei limiti del Patto. In seguito, le sanzioni si applicheranno “automaticamente”, salvo voto contrario di una maggioranza qualificata di paesi.

Il punto più importante segnato da Berlino è tuttavia che in futuro il debito di uno stato dell’eurozona possa essere ristrutturato, facendo così sopportare agli investitori parte del rischio di dissesto sovrano. Come ha detto giorni addietro il presidente di Bundesbank, Axel Weber, occorre che gli obbligazionisti divengano parte della soluzione, e non del problema. Un approccio dirompente, se solo si pensa che la crisi finora ha risparmiato proprio i creditori obbligazionari, per preciso volere dei governi, in primo luogo di quello americano ma anche in Europa, con la creazione del Fondo di Stabilizzazione.

Ma questa decisione sta già avendo delle conseguenze, qui ed ora, sui mercati finanziari. La settimana scorsa i differenziali di rendimento contro il Bund tedesco del debito greco, irlandese e portoghese si sono impennati, analogamente all’andamento dei credit default swap, che indicano il costo dell’assicurazione contro il dissesto dell’emittente. In parte questo fenomeno è dovuto a flussi di notizie negative (le gravi difficoltà greche a raccogliere imposte, la nuova manovra quadriennale irlandese, il rischio che il governo portoghese di minoranza di José Socrates possa cadere su ulteriori misure correttive), ma la verità è che sui paesi periferici più indebitati pesa la proposta tedesca di compartecipazione degli obbligazionisti all’eventuale dissesto dell’emittente.

Gli stati sovrani dell’Eurozona il prossimo anno dovranno emettere circa 915 miliardi di euro di nuovo debito, sia per rinnovo di quello in scadenza che per finanziamento di nuovo deficit. Gli investitori, dopo la proposta tedesca, si troveranno costretti ad applicare pesanti sconti per rischio d’insolvenza a tutti i titoli che scadranno dopo il 2013, senza contare la confusione sui titoli che scadranno entro tale data. La maggiore onerosità del debito, per i paesi a rischio-dissesto, potrebbe essere la più classica delle profezie che si autoavverano.

Come entra il nostro paese nel discorso? Per via indiretta. Ogni volta che il costo medio reale dello stock di debito eccede la crescita reale del paese, il rapporto debito-Pil tende ad aumentare, e può essere stabilizzato solo con un aumento dell’avanzo primario, la differenza tra entrate e spese al netto degli interessi. Da molti anni il nostro paese si trova in questa condizione sfavorevole, a causa dell’insufficienza della crescita.

L’unico modo efficace per piegare la curva debito-Pil è la crescita. Da noi invece si è finora preferito usare soprattutto la leva fiscale, ed in questo modo si è ulteriormente ridotto il potenziale di crescita dell’economia, anche perché nel frattempo nulla è stato fatto per innalzare la crescita potenziale ed effettiva del paese, attraverso ad esempio liberalizzazioni a vasto raggio di professioni, trasporti, commercio. I pochi passi compiuti in questa direzione, nella legislatura precedente, sono stati annullati da un movimento di “controriforma” attivamente promosso dall’attuale maggioranza.

Oggi la Germania sta mettendo pressione sui tassi d’interesse di Eurolandia in due modi: con la sua vigorosa crescita (grazie alla scommessa sui paesi emergenti, vinta “facendo sistema”), che potrebbe indurre la Banca centrale europea a rialzare i tassi d’interesse; e con l’attuazione della proposta di Berlino di ristrutturazione del debito sovrano dei paesi in dissesto, che come detto è destinata ad aumentare il premio al rischio sui paesi fiscalmente non virtuosi o che non crescono abbastanza. Immaginate che potrebbe accadere ad un’Italia che già oggi ha uno stock di debito-Pil al 118 per cento se i costi di servizio del debito dovessero aumentare, nella perdurante assenza di sviluppo: il redde rationem potrebbe essere drammaticamente anticipato.


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