di Andrea Gilli
L’articolo sulle elezioni in Iran pubblicato su Epistemes venerdì scorso ha scatenato una valanga di commenti che ci sono giunti sia sul sito, che sull’email, che via Facebook, senza contare quelli apparsi qui e là su internet. Rispondiamo brevemente alle varie critiche, chiarendo (in realtà ribadendo) quanto abbiamo scritto venerdì.
Nell’articolo parlavamo degli importanti elementi democratici insiti nel sistema politico iraniano. Nostre fantasie? No, più autorevoli studiosi di regimi politici comparati e di democrazia hanno, negli anni, sottolineato la complessità del regime iraniano ed evidenziato i suoi elementi democratici. Ovviamente, nessuno qui diceva che l’Iran fosse una ridente democrazia (concetto ribadito anche venerdì). L’articolo iniziava infatti ricordando come l’Iran rimanga una teocrazia.
Questa discussione ci portava poi alle elezioni. Dopo aver sottolineato come la corsa elettorale sia di fatto definita dai Guardiani della Rivoluzione che decidono chi ammettervi, sottolineavamo come i vari sfidanti partecipassero a dibattiti televisivi, come i sostenitori delle due fazioni potessero sfilare in strada, e quindi come in definitiva ci fosse una, seppure limitata, libertà di espressione. Libertà che, per esempio, non abbiamo mai visto in Cina, in Iraq, in Myanmar.
Il caso dell’Iraq di Saddam ci portava poi ad analizzare la questione dei brogli. Non dicevamo che non ce ne sarebbero stati – contrariamente a quanto alcuni sembrano aver capito. Dicevamo, invece, che “le elezioni non sembrano soggette a brogli o violenze simili a quelle dell’Iraq saddamita” (enfasi aggiunta). La frase è abbastanza chiara, non sembrano necessari ulteriori chiarimenti.
Concludevamo, poi, sottolineando come questi elementi siano quelli fondamentali se si vuole favorire un’evoluzione democratica iraniana. Il concetto non sembra molto difficile, eppure alcune critiche sembrano mostrare una certa incapacità (più che assenza di volontà) di comprenderlo. Più che bombardare l’Iran, per poi far nascere la democrazia dalle sue macerie, lo studio dei processi politici del Novecento suggerisce di favorire il rafforzamento di questi elementi democratici interni. La transizione non solo sarà più facile e indolore, ma avrà anche maggiori probabilità di successo.
Questi sono i fatti. A questi ci atteniamo.
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