Rassegna Epistemica – Recensioni di “The Return of History” di Robert Kagan

di Mauro Gilli

Poco più di un mese fa, su Epistemes è apparsa la nostra recensione del nuovo libro di Robert Kagan, The End of Dreams and the Return of History (La Storia non è mai finita, 23 Maggio 2008). Nell’articolo veniva segnalato come Kagan adottasse un approccio realista nella prima parte del suo pamphlet, cadendo così in numerose contraddizioni con quanto da lui stesso scritto in passato, e con quanto sostenuto nella seconda parte di The End of Dreams.

In ragione del ruolo di primo piano dell’autore di questo lavoro, e dell’attenzione che esso ha ottenuto, la redazione di Epistemes ha ritenuto opportuno suggerire un’altra recensione. Tra le numerose che sono state pubblicate ultimamente, merita sicuramente primaria attenzione quella di Andrew J. Bavecich, “Present at the Re-Creation“, comparsa sull’ultimo numero di Foreign Affairs.

Professore di Storia e Relazioni Internazionali alla Boston University, Bacevich è stato un fiero oppositore della guerra in Iraq sin dal principio. Proprio in Iraq, Bacevich ha anche perso un figlio, Andrew Jr., nel maggio 2007. Diversamente da altri (pensiamo, ad esempio, a Eliot A. Cohen, professore alla SAIS della Johns Hopkins University, e assistente del Segretario di Stato Condoleezza Rice), Bacevich ha mantenuto sempre un profilo molto basso relativamente a questa tragedia (Cohen ebbe modo di reclamizzare il patriottismo della sua famiglia in un articolo: “Yes, It’s Anti-Semitism,” The Washington Post (April 5, 2006), p. A3.)

E infatti, nel corso degli ultimi anni, la sua condotta di studioso non ne è stata influenzata – aspetto che, a nostro avviso, non solo gli fa onore, ma merita anche di essere sottolineato. Bacevich ha continuato a criticare la politica estera dell’amministrazione americana rimanendo saldamente fedele ai principi che lo hanno guidato in passato, e lasciando la perdita del figlio al di fuori di ogni polemica.

Studioso di scuola realista, crede nella necessità per gli Stati Uniti di adottare una politica estera limitata negli obiettivi e nei mezzi (“restrained”). Contrariamente a quanto sostenuto da un gruppo sparuto di realisti (William Wolforth, per esempio), ma soprattutto dagli studiosi di scuola istituzionalista-liberale (come J. John Ikenberry), e, ovviamente, dai famigerati nonchè accademicamente quasi inesistenti neoconservatori (se si fa eccezione per il sopracitato Cohen, sono ben pochi gli accademici che si identificano nei principi guida del neoconservatorismo), Bacevich non crede che gli Stati Uniti abbiano un ruolo guida a livello internazionale, e soprattutto crede che in politica estera il perseguimento di obiettivi trascendenti la difesa degli interessi nazionali non sia nè efficace, nè sostenibile.

Bacevich dà un titolo volutamente sarcastico alla sua recensione del libro di Kagan: “Present at the Re-Creation.” Il suo è un riferimento esplicito alle memorie di Dean Acheson, Present at the Creation: My Years at the State Departement (New York W.W. Norton & C., 1960). In esse, Acheson enfatizzava la sua presenza al momento della creazione di un nuovo ordine mondiale, e di come, a differenza del re Spagnolo Alfonso X del XIII secolo (dal quale prese la frase), egli ebbe modo di influenzare positivamente il corso della storia.

Con questo titolo, Bacevich vuole sottolineare l’atteggiamento paradossale di un autore, Kagan, che oggi parla di fine dei sogni, di “ritorno della storia”, quasi come se, negli anni passati, fosse stato assente dal dibattito politico. Kagan è stato infatti uno dei principali sostenitori della politica estera americana, e i “sogni” che oggi critica non sono diversi da quelli con cui lui altri neoconservatori si sono fatti inebriare.

Kagan stila una lista di idee incriminate, apparse con la fine della guerra fredda [che hanno influenzato la politica estera americana]. Ma questa lista è quanto di più arbitrario ci possa essere – scrive Bacevich. Addossare responsabilità ad illustri pensatori come […] Francis Fukuyama e Thomas Friedman per la situazione attuale degli Stati Uniti è come incolpare Harriet Beecher Stowe [autrice de “La capanna dello zio Tom” nel quale criticava la schiavitù] per la Guerra Civile Americana – questo metodo lascia fuori i veri colpevoli. Le idee che hanno davvero fatto la differenza – sottolinea Bacevich – sono quelle che hanno influenzato il National Security Strategy del 2002 e il secondo “Inaugural Address” del presidente Bush, quello che ha definito la sua “freedom agenda” e la sua dottrina della guerra preventiva, la base intellettuale non solo dell’invasione dell’Iraq, ma anche della guerra globale al terrorismo. Di quelle idee, su cui ci sono ancora le impronte digitali dei neoconservatori, stranamente Kagan non trova nulla da dire.

Ma l’aspetto più interessante è il fatto che Kagan tralasci completamente la questione Irachena: allora etichettata come la battaglia di tutte le battaglie, il campo di prova per l’Occidente contro il suo nuovo nemico, un nemico temibile e irrazionale, oggi la guerra in Iraq viene messa “in secondo piano”, e il famigerato “islamofascismo” viene visto come destinato a fallire. Insomma, la grande minaccia di un tempo, che per Kagan era la sfida del nuovo millennio, oggi viene derubricata a fenomeno marginale del panorama internazioanle.

Bacevich offre poi al lettore ulteriore materiale su cui riflettere. Riprendendo altri scritti passati di Kagan, dimostra come la giravolta intellettuale compiuta dallo studioso del Carnegie Endowment for International Peace sia davvero impressionante. Una volta critico del realismo, oggi Kagan “tratta i temi che ricordano alcuni prestigiosi studiosi realisti americani come Hans Morgenthau e Reinold Niebuhr”, scrive Bacevich. Abbiamo così due Kagan, “the dreamer”, e “the realist”. Il primo, quello degli anni passati, sembra aver lasciato il testimone al secondo – ora che le sue analisi hanno dimostrato la loro fallacia. Se solo cinque anni fa Marte e Venere erano destinati a due destini diversi, oggi “[si dovrebbero] sposare sulla Terra” – scrive Bacevich sarcasticamente sottolineando la contraddizione tra le conclusioni di Of Paradise and Power e quelle di The End of History. Mentre per il primo, infatti, le strade di Europa e America sarebbero inevitabilmente destinate a dividersi, per il secondo, le due sponde dell’Atlantico sarebbero invece obbligate ad una maggiore e sempre più stretta cooperazione.

A tutto ciò, Bacevich aggiunge interessanti citazioni prese da precedenti lavori di Kagan, dimostrando come la sicumera di una volta (quella con la quale si rigettavano le analisi realiste) si scontri con quella di oggi (quella che fa dire a Kagan che i “sogni” sono finiti). Cambiare idea è lecito, e anche meritevole di apprezzamento. Cosa Kagan non fa, però, è riconoscere appunto di aver sbagliato. Dall’articolo di Bacevich emergono chiaramente le contraddizioni di questo pensatore. E anche i suoi più fedeli seguaci non potranno non essere colti da più di un dubbio dopo aver letto “Preset at the Re-Creation”. Recensione che forse vale più del libro stesso.


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