Il Kosovo non è pronto per essere uno Stato

di Daniele G. Sfregola – © L’Occidentale

La secessione del Kosovo dalla Serbia, proclamata solennemente dall’assemblea parlamentare di Pristina il 17 febbraio, come i più complessi casi storici di formazione delle entità statuali ha ingenerato da subito un importante dibattito tra i giuristi internazionali in merito alle conseguenze che siffatto evento produrrà sull’evoluzione della materia. Va da sé che, come sempre avviene nella vita di relazione internazionale, l’analisi politica di un accadimento non può essere avulsa da considerazioni giuridiche, pena un risultato descrittivo monco, e cioè privo di osservazioni sui fondamentali della legittimità, del consenso, dell’equilibrio etico, che pure fonda la comunità internazionale, oltre che degli effetti non intenzionali nella regione e avverso gli equilibri globali nei termini più strettamente prescrittivi della politica internazionale.

L’Occidentale
ha meritoriamente pubblicato un’analisi a firma di Roberto Santoro sull’argomento il 25 febbraio scorso. Santoro centra la propria riflessione sullo smembramento dell’ex Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia (RFSJ), asserendo quindi che l’atto di Pristina non è qualificabile come secessione, bensì come “ultimo capitolo dello smembramento” della RFSJ. Nel far questo, l’autore equipara il caso kosovaro a quelli dei sei Stati federali che composero la RFSJ: Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia, Slovenia e Bosnia-Erzegovina. A beneficio del lettore, ricordiamo che lo smembramento si differenzia dalla secessione nella particolarità che col primo lo Stato preesistente cessa di esistere, mentre col secondo esso continua ad esistere.Ora, l’interpretazione di Santoro è infondata. Questo perché…

[continua su L’Occidentale]


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