Sarko? Un misto tra Bersani e Colbert

di Mario Seminerio © Libero Mercato

E’ stato finalmente reso pubblico il “rapporto Attali per la liberazione della crescita francese”. Si tratta di un documento complessivamente piuttosto modesto, che al solito incide al margine sulle rigidità sociali ed economiche transalpine, e dalla cui eventuale attuazione si produrrà scarso o nullo beneficio per una crescita che deve essere liberata perché presa in ostaggio da un modello di cultura politica ultracorporativa, peraltro largamente condiviso dalla maggioranza dei cittadini-elettori.

Tra le linee-guida segnaliamo la lodevole intenzione di introdurre l’insegnamento di quelli che vengono definiti “rudimenti di economia” già dalla scuola primaria. Volesse il cielo, a patto di non eccedere nei soliti dérapages francesi, che invocano l’alibi dell’insegnamento delle discipline economiche per tirate ideologiche contro l’economia di mercato, cosa di cui i libri di testo delle scuole superiori francesi sono inzeppati. Tra gli altri suggerimenti più o meno operativi, si conferma la tradizione dirigista francese, espressa attraverso la creazione di dieci poli di eccellenza nell’insegnamento superiore; il sostegno ai settori tecnologicamente più avanzati (digitalizzazione, salute, ecologia, turismo, nanotecnologie) attraverso la leva fiscale della concentrazione dei crediti d’imposta su questi settori; sviluppo della dotazione infrastrutturale; la grandeur viene poi titillata e verniciata con una mano di verde suggerendo la creazione di dieci écovilles, non meglio definiti “spazi urbani durevoli” (sic) di almeno 50.000 abitanti, veri e propri “laboratori ambientali”. Certo, se uno di questi secteurs d’avénir dovesse dimostrarsi non più coerente con l’evoluzione tecnologica globale, i francesi scoprirebbero che le loro tasse sono state dilapidate. Anche per questo motivo è preferibile concentrare lo sforzo fiscale sulla ricerca di base e non immediatamente su quella applicata.

Altri suggerimenti della commissione guidata dall’ex consigliere politico di François Mitterrand (come noto, se gli advisor non sono di sinistra Sarkozy non li prende in considerazione) sono peraltro molto simili ad iniziative intraprese dal governo Prodi, quali la riduzione dei contributi sociali salariali. Né manca l’abituale “agenzia” che serva ad “accompagnare” le piccolissime imprese (TPE, très petites entreprises, nella tassonomia francese quelle con meno di 20 dipendenti) nei loro adempimenti amministrativi. Evidentemente, eliminare o ridurre grandemente tali adempimenti sarebbe stato troppo sovversivo per un paese come la Francia. Suggerita anche la riduzione dei tempi di liquidazione del regime Iva a non più di dieci giorni, per agevolare la tesoreria delle imprese, soprattutto di quelle piccole, che dovrebbero poi poter contare su uno statuto fiscale semplificato simile al “forfettone” introdotto da Prodi e Visco nella Finanziaria italiana del 2008. Nel caso francese, la soglia di fatturato per poter accedere al regime fiscale semplificato verrebbe posta a 50.000 euro annui.

Interessante è poi la proposta di riforma della rappresentanza sindacale per ridurne la frammentazione, mettendo una soglia di sbarramento del 15 per cento dei voti conseguiti nelle elezioni sindacali a livello di singola impresa. Da noi basterebbe dare attuazione concreta all’articolo 39 della Costituzione italiana, che giace inapplicato da sempre. Strano a dirsi, ma anche la nostra carta fondamentale contiene in sé elementi di forte innovazione e funzionalità alla crescita. Non a caso il sistema di potere sindacal-politico ha provveduto per tempo a inattivarli, salvo genuflettersi di fronte alla costituzione a ogni occasione celebrativa più o meno solenne. Attali suggerisce poi la ridefinizione drastica del concetto di licenziamento economico, estendendone le cause non solo alla eventualità di “riorganizzazione d’impresa”, ma addirittura ad una fattispecie la cui indeterminatezza tautologica equivarrebbe a liberalizzare il licenziamento: “miglioramento della competitività d’impresa”. Auguri.

A conferma dell’ipernormazione francese, il Rapporto suggerisce anche l’eliminazione del concetto di rivendita “in perdita” (cioè sottocosto) per il commercio al dettaglio, dopo che una legge entrata in vigore alcune settimane fa ha compiuto un piccolo passo avanti includendo nella determinazione del margine di rivendita sottocosto la retrocessione che i grossisti corrispondono ai dettaglianti. Proseguendo in queste “spericolate” liberalizzazioni, il Rapporto suggerisce anche l’eliminazione delle barriere amministrative all’entrata nel settore alberghiero e della ristorazione, oltre che nel commercio al dettaglio. Come si può facilmente constatare da questi arcaismi, in Francia pare che l’era delle tessere annonarie non sia mai realmente terminata. Né manca l’abituale retorica della liberalizzazione delle professioni. Come in Italia, anche al di là del Fréjus si prendono di mira i taxi (Sarkozy, con scarsa originalità e palese plagio del dibattito politico italiano, ha già scolpito che “Parigi è la sola città al mondo dove si fatica a trovare un taxi”), farmacisti, notai, veterinari.

Altra “ispirazione” che pare mutuata di peso dal dibattito pubblico italiano è la richiesta di eliminazione dei dipartimenti (l’equivalente delle province), per rafforzare correlativamente il ruolo di regioni e comunità intercomunali. Ma qui Sarkozy ha già detto di no.

A conclusione di questo bel “libro dei sogni minimi”, citiamo l’auspicio a ridurre “già dal 2008” l’incidenza sul pil della spesa pubblica, per partire dal 2009 a produrre risparmi annui di 1 punto percentuale di pil, oggi nell’ordine di 20 miliardi di euro, con l’obiettivo dichiarato di eliminare l’eccesso di spesa pubblica francese rispetto al “modello” tedesco, stimato in 150 miliardi di euro.

La nostra impressione è che, con simili proposte, i francesi non si siano neppure avvicinati al covo dove essi stessi tengono segregata la crescita. Il cavaliere bianco può attendere.


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